I suoi doni più grandi l’ardimento e l’audacia
Ricordo tratto dall’omelia pronunciata alla Messa crismale del Giovedì Santo
1995 in Cattedrale a Lugano
di Mons. Ernesto Togni *
Viviamo questo Giovedì Santo in unione al Vescovo Eugenio, presente a noi, oltre che nel frutto del suo servizio e delle sue opere, nella Comunione dei Santi.
In unione pure al Vescovo Giuseppe, che lo aveva preceduto di pochi mesi e agli altri nostri Vescovi Eugenio, Vincenzo, Alfredo, Aurelio e Angelo, ciascuno dei quali, con personalità e doni differenti e in tempi diversi, ha guidato il cammino già più che centenario della nostra Chiesa.
Ci accompagna in questa assemblea l’immagine dei Vescovi Giuseppe ed Eugenio, così diversi, forse complementari, l’uno richiamandoci più alla vita contemplativa, l’altro alla vita attiva.
Del Vescovo Giuseppe io ho raccolto la semplicità, l’umiltà, la povertà.
Del Vescovo Eugenio continuano a farmi impressione l’ardimento, l’audacia. Un audace, il Vescovo Eugenio. Forse lo era già, fondamentalmente da giovane, alunno del seminario, quando in mezzo alla tranquillità generale, che poteva essere anche uniformità, osava con qualche altro dissentire, non ricorderei esattamente, rivelare una voglia di cambiare.
Audace – ma questo non è importante, ma solo significativo -quando nell’agosto 1962 guidò i seminaristi alla conquista del Blindenhorn, facendoci passare, completamente sprovvisti dei mezzi adeguati, su un ripido ghiacciaio. Forse qualcuno tra i presenti ricorda. A parecchi venivano i brividi, a pensarci, a distanza di tempo.
Lo persi di vista nel tempo che lasciò la diocesi assumendo un’attitudine coraggiosa anche nello studio, nella ricerca e nella interpretazione del diritto.
Ardito anche quando, perdendo forza e attrattiva le associazioni cattoliche studentesche, colse il sorgere di un nuovo movimento e se ne fece iniziatore da noi.
L’ardimento fu forse l’atteggiamento di fondo di lui Vescovo, nelle decisioni e iniziative, come, fra le altre, quella di riportare in diocesi il Seminario del cui trasferimento a Friborgo era stato a suo tempo sostenitore, e quella di realizzare quel suo sogno personalissimo, che ebbe grande riscontro, in così poco tempo: la Facoltà teologica.
Un ardimento che mostrò – ed è forse il dono più grande che ci ha lasciato – nella maniera di guardare alla croce, alla malattia, alla morte, nella maniera di mettersi in quel cammino oscuro e misterioso, divenendo maestro e padre e amico, conforto e sostegno per tutti.
Un ardimento che fondava sulle sue forti qualità personali, di intelligenza, di cultura, di volontà, sull’amicizia e sulla comunione, sulla fede in Dio, in Cristo, nella Chiesa.
Che poi questa audacia innovativa, molto personale, non sia stata chiara per tutti, non a tutti gradita, magari per il modo, non da tutti accettata e condivisa, talvolta contraddetta, non deve allora meravigliarci. Ma è la storia di tutti, anche, in qualche modo, di noi preti. Ma è certo che attorno al Vescovo, sempre, attorno ad ogni Vescovo, grazie al servizio che egli deve svolgere in favore dell’unità, e grazie alla collaborazione di sacerdoti e fedeli, occorre sforzarsi di crescere in comunione ed unità.
Questa Settimana Santa, che ha il suo centro nella Croce e nella Risurrezione di Cristo mi fa pensare che, al di là della nostra singolare personalità, tutti siamo salvati solo dalla Croce. Mi sentirei perduto senza questa certezza. E quando la croce diventa pure nostra, la nostra croce personale, con spine e chiodi e ferite diverse, anch’essa diventa un contributo alla salvezza nostra e dei fratelli. Anche la croce del Vescovo Eugenio ha fatto parte della sua salvezza: lo ha cambiato, lo ha lavorato, lo ha forgiato. E ha lavorato e cambiato anche tutti noi, ha salvato anche noi.
* Vescovo, predecessore di mons. Eugenio Corecco.