III
COMPASSIONE PER LA SOFFERENZA DEL SUO POPOLO
Cardinale Franciszek Macharski
Arcivescovo Emerito di Cracovia
Qual è il motivo per cui bisognava raccogliere gli scritti pastorali di Eugenio Corecco, Vescovo di Lugano, nel decimo anniversario della sua morte?
É assolutamente indispensabile dire che è un segno evidente e chiaro che questo testimone ha ragione! Questo testimone dice la verità! La verità su Dio, cioè che Egli è, che Egli, in Gesù Cristo, è l’Emmanuele: il Dio-con-noi, il Dio-con-l’uomo.
Monsignor Corecco rende testimonianza su Dio, che ha voluto venire al mondo a Betlemme e ha voluto rivelarsi come Dio-per-l’uomo, e rimanere in questo modo nella Chiesa.
Eugenio Corecco «preso fra gli uomini» (Eb 5,1) ha assunto la partecipazione al sacerdozio di Cristo ed è ritornato in mezzo agli uomini – dall’inizio e fino alla fine – come educatore dei giovani e, in seguito, ancora fino alla fine, come pastore: sacerdote Vescovo.
Stando tra la gente sia giovane che adulta, era insieme a loro il cristiano fervente ed appassionato e nello stesso tempo egli era per loro l’educatore, il pastore, sempre il mistagògo: pronto ad introdurre gli altri nel Mistero di cui lui stesso partecipava e viveva. Non governava e non aveva le ricette pronte per scoprire il Mistero, ma era al suo servizio.
Si univa a quelli che camminavano lungo la strada, diventando il compagno di viaggio, un pellegrino anche lui. Era sempre in grado di adeguarsi al ritmo dei passi della vita degli altri, portando in quel ritmo la fede; la fede nel Vangelo, l’affidamento al Vangelo. Rianimava lacommunio del Cristo e degli uomini, mostrava come fare per accettare sempre più fedelmente il dono della comunione liberante. Cristo mandava don Eugenio sulle strade della vita degli uomini sia nella Chiesa sia nel mondo, perché l’avvenimento pasquale di Emmaus potesse durare: Cristo che continua ad accompagnare i suoi discepoli e per loro diventa l’Eucaristia.
Parlo dell’unione intrinseca, interiore, dell’uomo educatore e pastore, che ha saputo portare sempre in questa unione anche il suo farsi servo della scienza e della cultura. Ha donato tutte le sue capacità nell’insegnamento e nell’attività scientifica nel campo del Diritto Canonico e alla sua nuova codificazione, anzi ha sacrificato tutto se stesso al servizio dell’intelletto e della fede. La fede in Cristo e nella Sua Chiesa cercava la ragione, fides quaerens intellectum, e la necessità di comprendere l’uomo nella sua vita sociale lo spingeva a ricercare la fede, intellectus quaerens fidem.
Tutto questo si realizzava nel dialogo tra la fede e la cultura. Monsignor Corecco creava tale clima di cultura, in cui sempre rimaneva aperto lo spazio a quel dialogo. Per questo ha voluto una Facoltà di Teologia a Lugano.
Amava la Chiesa che serviva: la Chiesa universale con il “Pietro dei nostri tempi”, il Santo Padre. Amava tantissimo la Chiesa che vive a Lugano, le sue comunità, le sue famiglie, le sue parrocchie, i suoi giovani e adulti e i suoi sacerdoti.
Una domanda sorge spontanea: quale era l’esperienza esistenziale di quell’uomo il cui nome era Eugenio? É questa la domanda circa il suo misterioso incontro con Dio, il Dio che è diventato il suo Dio-Emmanuele e dono, che ha superato tutti i doni e tutti i tesori della natura.
Non è forse vero che il “segreto regale” viene svelato nel momento più oscuro della vita?… che la luce risulta dalle tenebre di questa notte che rimane sempre il mistero della croce? É stato così anche per don Eugenio. Questi sono stati gli anni dell’ultima malattia. La Croce diventava sempre più una realtà distruttiva e creatrice e nello stesso tempo.
Il primo segno dell’Alleanza che Dio aveva stipulato con l’uomo, in Abramo, è stato l’arco sulle nubi, l’arcobaleno. Il segno dell’Alleanza definitiva che Dio ha stabilito con l’umanità intera è la Croce di Cristo. Da quel momento «la Croce è per me l’arcobaleno, il segno dell’Alleanza». Dio infinito è diventato un “essere finito” e in Cristo l’amore crocifisso. Egli, Vimmensamente grande, oltre tutte le misure, ha fatto di se stesso una misura; l’irraggiungibile è diventato la via al Padre, a Colui che è la dimora. Cristo ha dato la vita perché il mondo avesse la vita. Se fossi io per me stesso una misura e un limite, cadrei e mi spaccherei sul fondo della mia limitatezza insieme con tutta la mia costruzione interiore, cieco e sordo a tutto quello che non fa parte di me.
Forse ha vissuto questo e a questo ha pensato il Vescovo Eugenio quando la malattia frantumava e consumava la costruzione della sua colonna vertebrale, però nello stesso tempo cresceva “l’uomo interiore” per il quale la Croce di Cristo e la sua propria croce sono il segno dell’Alleanza pasquale. Nel tormento si compiva la fedeltà a Cristo che veniva per prendere con sé il Suo amato Eugenio.
Forse così pensava don Eugenio, con la fiducia nella promessa che quando sarebbe partito, Cristo non ci avrebbe lasciati soli come orfani…