Omelia tenuta nella Cattedrale di Lugano l’8.09.1991 in ricordo della Beatificazione di suor Chiara Bosatta, guanelliana.
Se vogliamo capire chi siamo e cosa dobbiamo fare, dobbiamo sempre tornare alle origini. Al riguardo, mi ha sempre colpito una definizione di Papa Pio XI per Don Luigi Guanella: «è stato il Garibaldi della carità».
In essa il Papa ha colto la determinazione straordinaria di Don Guanella nella realizzazione del carisma, che lo Spirito Santo gli aveva seminato dentro il cuore, così da renderlo, non solo ardito nei suoi propositi di carità, ma anche contagioso. Ha, infatti, coinvolto attorno alla sua persona e al suo carisma decine di migliaia di altre persone. Da esse si è costituito anche un ramo femminile e uno maschile di persone consacrate, che diventarono il cuore di quell’opera che lo Spirito Santo aveva suggerito al Beato di compiere in seno alla società e alla Chiesa del suo tempo.
Un’opera che ha tradotto mirabilmente, nel contesto sociale di allora, il principio della carità cristiana.
Una di queste persone contagiate e coinvolte dal carisma di Don Guanella è stata Suor Chiara Bosatta.
A ventinove anni ha terminato la sua vita terrena, dopo soli dieci anni di vita consacrata. Oggi ne celebriamo e festeggiamo la memoria.
Don Luigi Guanella l’ha definita «la sua vera eredità » perché, come è scritto nella Bolla di beatificazione, Sr. Chiara ha saputo coniugare la vita contemplativa con quella attiva. Ha vissuto intensamente, pur nella brevità della sua esistenza, ed ha raccolto, continuato e riproposto a noi il carisma originale del Fondatore: il carisma della carità.
Ho letto, nelle opere agiografiche date alle stampe in occasione della beatificazione di Suor Chiara, che Don Guanella, in eredità, non ha lasciato un patrimonio dottrinale, essendo pochi i suoi scritti. Ne risulta, come conseguenza, che il suo carisma non è definibile in termini concettuali.
Con l’esempio della sua persona, ha lasciato, invece, alcuni criteri da mettere in pratica: quello della testimonianza e quello della discepolanza: «Fate testimonianza e fate dei discepoli».
In realtà non è facile dare una definizione teorica della carità. Non ce l’ha lasciata nemmeno San Paolo, che di tutti gli autori è stato quello che ha composto il più bell’inno alla carità reperibile nella letteratura cristiana. L’ha descritta nella prima lettera ai Corinzi nel brano del cap. 13, che tutti conosciamo: «La carità deve essere paziente, benigna, compassionevole …».
È quasi sorprendente constatare che nel patto spirituale, stipulato con il Signore da Suor Chiara Bosatta il giorno della sua vestizione, ricorra una descrizione della carità molto simile a quella paolina. Suor Chiara ha chiesto, infatti, al Signore di essere sempre obbediente, umile, rispettosa, mansueta, dolce, paziente, modesta, raccolta, mortificata, pura di mente e di cuore, bramosa di fare il bene per tutti.
È quasi un contrappunto alla lettera scritta per i cristiani di Corinto, ma con un’ispirazione propria e originale. Ciò dimostra che, anche per Suor Chiara, la carità è descrivibile solo secondo mille comportamenti diversi, ma tutti convergenti e focalizzati verso l’imperativo di voler bene agli uomini.
Questa visione concreta ed operativa della carità, assieme alla sua testimonianza concreta, è il vero patrimonio spirituale che Suor Chiara ha lasciato in dono alla duplice Congregazione guanelliana, maschile e femminile, e a tutti noi che la veneriamo come Beata.
Noi, ricordandola, dobbiamo sentire un profondo senso di venerazione e una grande umiltà e renderci conto che Sr. Chiara propone oggi questo messaggio anche alle nostre persone. Poiché, se una celebrazione liturgica, come quella che stiamo vivendo, non diventa un momento di riflessione profonda e magari anche un’occasione di conversione, potrebbe svilirsi a semplice commemorazione.
La celebrazione della festa di una persona beatificata dalla Chiesa, per essere vera, deve necessariamente diventare opportunità di conversione; un momento nel quale cerchiamo di lasciarci penetrare dal messaggio che, nell’ambito della storia della Salvezza, il Signore ha voluto comunicarci tramite quelle persone che Lui stesso ha scelto ed eletto per renderle testimonianza contagiosa nei confronti di tutti gli uomini.
La storia di una persona che, in seno ad una famiglia, ad una Congregazione, o a un movimento ecclesiale, tocca i vertici della santità, è sempre un fatto in cui si concretizza e manifesta, con grande evidenza, la storia della Salvezza.
Noi pensiamo sempre alla storia del mondo e dell’uomo in termini secolari, ma la vera storia del mondo è la storia di Dio che si manifesta agli uomini; di Dio che manda il Figlio perché sia presente come uomo in mezzo a noi; è la storia di Dio che continua, perciò, attraverso la Chiesa.
Questa storia della Salvezza si realizza in modo particolarmente efficace e manifesto attraverso quelle realtà ecclesiali che sorgono sotto l’impulso del carisma di un Fondatore.
Dobbiamo perciò saper vivere la storia di una persona, come quella della nostra Beata, e parimenti la storia del Servo di Dio, Mons. Bacciarini, che ha portato con sé, dentro il cuore stesso della nostra Diocesi, il carisma di Don Guanella, come un’emergenza precisa della storia della Salvezza, vale a dire della storia della Presenza di Dio nel mondo.
Se siamo convinti di questo fatto, dobbiamo allora essere capaci di assumere seriamente questa storia nella nostra vita; di non lasciarla semplicemente trascorrere, ma cercare, invece, di inserirci per vivere, in essa, l’identità della nostra persona. Oggi è un giorno di festa ed un giorno di riconoscenza. Il primo sentimento che dobbiamo lasciar emergere nel nostro cuore è quello della gratitudine al Signore per averci dato queste testimonianze. – Lo dico innanzitutto a voi Suore e a voi Padri e a tutte le persone che si sono aggregate attorno all’Opera di Don Guanella – Un senso di profonda gratitudine, perché nella storia di queste persone ritroviamo noi stessi e scopriamo la nostra vocazione. Io colgo l’occasione per ringraziare tutti.
Il vostro Padre Generale ha sottolineato il fatto che, nelle nostre terre, l’Opera di Don Guanella è incominciata già durante la sua vita terrena. Non è possibile, in questa omelia, fare l’elenco di tutto quanto è avvenuto. Ma, se nella nostra Diocesi, una parte delle persone più deboli, più povere, più bisognose e più diseredate ha incontrato l’amore di Cristo, questo è uno dei meriti principali dell’Opera guanelliana.
Il Vangelo di oggi mi suggerisce l’ultima considerazione. Voglio modestamente lasciarvela come ricordo: Gesù, di fronte alla chiusura e all’avversità incontrata nel Popolo di Israele, è uscito dai suoi confini geografici, per andare a Sidone a compiere un miracolo. Ad esso ha voluto conferire una valenza particolarmente simbolica. Ha aperto la bocca a un muto e le orecchie a un sordo, perché tutti capissero che, di fronte al Suo messaggio, nessuno può rivendicare una posizione di privilegio.
Nessuno deve credere, individualmente o in quanto membro di una comunità avente una storia religiosa comune, di possedere Dio con diritto di esclusiva.
Il Popolo di Israele aveva la pretesa di essere l’erede della Promessa. Di fronte alla imminente realizzazione della Promessa, esso si è chiuso ed ha rifiutato la persona del Figlio che il Padre aveva mandato.
Questo ci deve indurre a riflettere, poiché oggi nella Chiesa viviamo una situazione analoga. La Chiesa, infatti, sta crescendo enormemente anche al di fuori dei confini del l’Europa. Il fiorire delle vocazioni religiose maschili e femminili proprio in questi Paesi, che abbiamo continuato a chiamare “paesi di missione”, deve farci riflettere sull’episodio del miracolo compiuto da Gesù a Sidone.
Gesù esce dai confini geografici e politici d’Israele per mostrare a tutti che nessuno può pretendere di essere il titolare esclusivo della Salvezza; nessuno deve osare giudicare il Cristo come se fosse proprio. Tutti devono saperlo ascoltare sempre di nuovo seguirlo, anche e soprattutto quelli che lo hanno incontrato per primi.
Forse in Europa ci sentiamo ancora quasi titolari privilegiati del messaggio cristiano, proprio perché l’esperienza cristiana ha suscitato tra noi molti Santi. Ora dobbiamo però prendere atto della progressiva sterilità della nostra testimonianza e perciò della nostra incapacità a suscitare e ad aggregare discepoli e figliolanza nella fede.
Se tornassimo all’origine della nostra vocazione cristiana, allora, forse, avremmo ancora il coraggio di rimetterci tutti nella posizione di riascoltare nel profondo della nostra persona la Parola di Dio.
Il carisma, che lo Spirito Santo ci ha comunicato attraverso Suor Chiara e il Servo di Dio Aurelio Bacciarini e sul quale oggi siamo chiamati a meditare, può diventare aiuto potente per indurci a seguire con più fedeltà la Parola di Dio.
In fondo, la domanda che dobbiamo farci in questo momento è la seguente: in quale misura Don Guanella, la Beata Chiara e il Vescovo Bacciarini possono ancora riconoscersi in noi e in quello che facciamo?
Ma non si tratta solo di riaprire il cuore all’ascolto. A Sidone, Gesù non ha guarito solo la sordità, ma alla stessa persona ha ridato anche la parola. Anche noi dobbiamo riscoprire la parola, poiché diventa sempre più necessario per ogni cristiano saper dare agli altri le “ragioni della propria fede”. Non basta più compiere solo le opere, come del resto non è mai stato sufficiente. Le opere come la testimonianza fattiva non bastano. Oggi più che mai dobbiamo saper dare testimonianza anche attraverso la parola; attraverso la comunicazione agli altri di quello che crediamo e siamo. È essenziale dire agli altri ciò che abbiamo dentro il cuore: la fede che il Signore ci ha consegnato. È tempo di nuova evangelizzazione.
Non sono le opere della Congregazione, della Diocesi, ciò che conta prima di tutto, bensì l’impegno dell’annuncio della Salvezza di cui esse sono l’espressione. È l’annuncio della fede, insita nelle opere, ciò che dobbiamo rendere più esplicito, più capace di essere recepito e capito da quelli che credono e da quelli che non credono.
Dobbiamo saper dare le ragioni anche della nostra carità.
Sono persuaso che la mancanza di vocazioni, di cui tutti soffriamo, nella Diocesi come nelle Comunità religiose, nasca da una nostra incapacità di spiegare alla gente, con la quale veniamo in contatto, la nostra storia, la nostra identità e ciò che noi abbiamo sperimentato vivendo la nostra vocazione cristiana.
Il Vangelo odierno ci dà una chiara indicazione. Il Signore Gesù, allora come oggi, sembra uscire dal luogo originario della Sua predicazione, per andare ad offrire il Suo messaggio a coloro che sembravano essere ciechi e muti.
La Chiesa sta vivendo, con vitalità più profonda, oltre i confini nei quali da quasi due millenni si era insediata.
Don Guanella ha capito questo, non limitandosi ad operare nella società nella quale è cresciuto ed ha vissuto gran parte della sua vita, ma ha rincorso le persone, andando ad assisterle con la sua parola e le sue opere fin nelle Americhe. Anche noi, diocesani e religiosi, dobbiamo, sul suo esempio, proporci di diffondere con maggior chiarezza il carisma che il Signore ci ha consegnato, cercando di utilizzarlo, non unicamente per compiere delle opere, ma per contagiare alla fede altre persone.
«Un Garibaldi della carità», ha detto Pio XI di Don Guanella. In Suor Chiara egli ha trovato la sua eredità più vera. Possa trovare in noi la continuazione più efficace. Non possiamo sciogliere questa assemblea senza portare in cuore una grandissima affezione per questa donna. Nella vita tutto incomincia dall’affezione.
Questo volto di Suor Chiara, che abbiamo continuato a guardare durante questa celebrazione, deve restare impresso nella nostra memoria, poiché da solo è capace di suscitare in noi un grande desiderio di essere come lei.
Una parola di profonda gratitudine a tutti voi Guanelliani e Guanelliane, arrivati nella Diocesi circa cento anni fa. Come nessun’altra Congregazione, siete inseriti nella nostra storia, attraverso il Vescovo, Servo di Dio, Mons. Aurelio Bacciarini. È un legame profondo con il carisma del vostro Fondatore Don Guanella, che ha dato i suoi frutti, non solo attraverso le vostre opere caritative, ma anche perché, con la persona del Vescovo Aurelio e il suo spiccato carisma per la carità, è sorto in mezzo a noi un vescovo che potrebbe essere proclamato beato e santo.
Il mio non è un ringraziamento solo di circostanza, per i ricchi doni che mi avete offerto, in particolare la reliquia della vostra nuova Beata. È un ringraziamento ché nasce da una storia profonda, da cui la nostra identità diocesana non può prescindere.
Guardando il volto di Sr. Chiara, abbiate sempre nel cuore una grande speranza.