Omelia al Santuario della Madonna dei miracoli di Morbio per la fine dell’Anno mariano, 11 settembre 1988.
Cari confratelli nel sacerdozio, care suore, cari sorelle e fratelli in Cristo, rileggiamo assieme l’episodio di Cana, cercando di correggerne l’immagine spesso banale e distorta che di esso abbiamo.
Fino a quel momento Gesù aveva raccolto attorno a sé alcuni primi discepoli, ma non si era ancora manifestato nella sua divinità.
In Cana di Galilea, scrive l’evangelista S. Giovanni, «Gesù diede inizio ai suoi miracoli: manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui». Ha scelto un momento centrale della vita umana per manifestarsi: quello in cui un uomo e una donna si sposano e la gente fa una grande festa.
L’episodio si pone nel cuore stesso del momento più fondamentale e ricorrente della nostra esperienza umana. Cristo innesta la sua Salvezza nell’atto umano più vibrante di emozioni e di responsabilità. La Redenzione di Cristo tocca l’uomo nell’espressione più profonda di se stesso, quella dell’amore tra l’uomo e la donna. Incide nella sostanza della nostra umanità e delle vicende più intime del nostro destino terreno.
Quel Cristo che ha cambiato l’acqua in vino a Cana, compiendo un gesto sul quale non è permesso equivocare in modo superficiale, è lo stesso Cristo che nell’ultima cena, prima della sua passione, morte e risurrezione, trasformerà il vino in sangue. In quel gesto di Cristo a Cana è prefigurata come nella sua radice la stessa Eucarestia che stiamo celebrando in questo momento: momento centrale della nostra esperienza cristiana. È il Sacramento nel quale si realizza e nel quale viviamo tutta la Chiesa.
Per noi cristiani, l’episodio di Cana non ha carattere solo circostanziale e sporadico. Ha un valore pedagogico di carattere universale. In esso possiamo scoprire tre indicazioni fondamentali per vivere la nostra fede. Sono indicazioni che dobbiamo saper cogliere con lucidità, qui, ai piedi della Madonna dei Miracoli, che ci è tanto cara, nell’atto conclusivo dell’Anno Mariano. Un anno intero dedicato alla riflessione e alla preghiera, con l’obiettivo di meglio comprendere il significato che la Madre di Dio ha per il nostro modo di vivere la fede in Gesù Cristo.
La prima indicazione ci viene dal miracolo in quanto tale. Maria di Nazareth si rivolge a Gesù, non perché si aspetta un prodigio – non ne aveva infatti ancora compiuti – ma nella speranza che Gesù trovi una via d’uscita dalla situazione di imbarazzo degli sposi, rimasti senza vino. Gesù viene incontro al bisogno di quella gente, probabilmente povera, compiendo un miracolo, con il quale però, manifestando la gloria della sua divinità, aiuta i primi discepoli che lo accompagnavano a credere veramente in Lui.
I miracoli non sono mai fini a se stessi. Ciò che il Signore in essi intende, come primo obiettivo, è la crescita della nostra fede. I miracoli, come tutte le altre grazie implorate dal Signore, dalla Madonna o dai Santi, ci sono concessi perché diventino inizio di una nostra conversione personale e collettiva. È per questa stessa ragione che la Madonna si manifesta, di tanto in tanto, a noi, nel mondo, nella sua corporeità. Anche l’apparizione e la guarigione miracolosa avvenute qui a Morbio su questa collina nel 1594 sono state l’inizio di un movimento di conversione per innumerevoli fedeli. È stato un fatto determinante per mantenere viva la fede in questa nostra terra.
Su questo significato dei miracoli, cari fedeli, dobbiamo riflettere. Se vogliamo vivere bene la nostra fede, non possiamo permetterci di pregare per ottenere grazie o miracoli, senza avere, contemporaneamente, anche il desiderio di convertirci nel nostro cuore.
Oltre che per i nostri desideri personali, corporali e spirituali i miracoli avvengono per aiutarci a crescere nella nostra fede: ad essere più forti nella fede. Ciò che conta, più di tutto, non sono le grazie e le guarigioni, che spesso cerchiamo di ottenere in modo addirittura sproporzionato al nostro bisogno reale, ma la nostra conversione. La nostra fede non tollera sotterfugi. I doni di Dio ci sono dati per la salvezza globale della nostra persona; ci impegnano al cambiamento della nostra vita.
L’episodio di Cana ci fa perciò riflettere, prima di tutto, sul nostro modo di pregare e di essere pellegrini, qui, alla Madonna del Sasso, a Lourdes, a Medjugorie, a Fatima e in mille altri posti di devozione e penitenza. Il Signore ci aiuta nei nostri bisogni e desideri, magari anche futili, ma per convertirci a Lui. A Cana manifestò la Sua gloria, perché i discepoli credessero in Lui.
La seconda indicazione di Cana è quella sul ruolo assunto da Maria, la Madre di Gesù. Maria è la prima ad accorgersi dell’imbarazzo degli sposi e si fa carico di essi. Questo sguardo di Maria per il bisogno dei poveri e il suo istintivo sentimento che il Figlio deve sapere di questo sono molto indicativi.
L’episodio di Cana è il momento in cui si manifesta anche la forza di intercessione della Madonna. A Cana è iniziata la devozione di tutta la cristianità per lei. Maria si affida al Figlio con fiduciosa speranza. Lascia libero il Figlio e nello stesso tempo impone maternamente il suo desiderio. È come se forzasse la mano, superando ogni esitazione di Gesù, che la tratta anche severamente: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora. La Madre dice ai servi: fate quello che vi dirà».
Dal livello del progetto redentivo, dal programma con il quale Gesù intendeva realizzare nel tempo la sua missione, che era il piano della giustizia di Dio, Maria si insinua nel piano più profondo della Sua misericordia.
Gesù, in quel momento, ha praticato e vissuto il quarto comandamento: «Onora il padre e la madre». Come avrebbe potuto il Figlio di Dio, che aveva onorato in ogni cosa il Padre, venendo al mondo, per compiere la volontà del Padre, come avrebbe fatto il Figlio di Dio a non onorare allo stesso modo la sua Madre terrena? Gesù, che si inchina davanti all’intercessione della Madre, ci fa capire, oltre alla sua forza quale nostra Ausiliatrice, cosa significhi onorare nostro padre e nostra madre. È una lezione che tutti dobbiamodi nuovo imparare, noi che viviamo in una cultura che ha distrutto la famiglia e la religiosità dei rapporti familiari.
Il rapporto tra Gesù e sua Madre, cari fedeli, non è cambiato dopo la Risurrezione di Cristo e l’Assunzione in cielo anima e corpo di Maria Vergine. Si è solo ulteriormente intensificato, come si intensificherà il rapporto reciproco tra noi cristiani quando entreremo definitivamente nella comunione dei santi; comunione alla quale affermiamo di credere: «Credo nella comunione dei santi».
Maria di Nazareth ha il potere di Madre per intercedere per noi, ma la finalità ultima della sua intercessione è la nostra conversione a Cristo. A Cana, Maria rappresenta tutta la Chiesa, che, come Lei, ha il compito di intercedere per noi. Non diciamo prima della Comunione eucaristica: «Signore, non guardare alle nostre colpe personali, ma alla fede della tua Chiesa»?
II terzo elemento di Cana è l’indicazione lasciataci da Maria: «Fate quello che vi dirà».
Tutto l’affetto e il sentimento di Maria per quei primi uomini e quelle prime donne che avevano seguito Gesù, per quei primissimi cristiani, si sono manifestati in queste parole: «Seguite il Figlio di Dio e mettete in pratica quello che vi dirà».
Questa indicazione è data da quella donna che aveva già detto il suo «sì» personale all’angelo Gabriele; che aveva compiuto con totale docilità il disegno di Dio sulla sua persona; che aveva accettato la vocazione assegnatale dal Signore.
Le tappe di questa docilità si erano realizzate, via via, nella scelta di Betlemme, al posto di Nazareth, come luogo per mettere alla luce Gesù; nella fuga in Egitto; nell’episodio del Tempio di Gerusalemme, quando Gesù aveva dodici anni; saranno portate a compimento con la sua presenza ai piedi della Croce e nell’accogliere Giovanni, che rappresentava tutti noi cristiani, come Suo figlio.
Nel momento in cui Cristo inizia la sua predicazione pubblica, Maria ha dato a noi – e a tutti gli uomini – una nuova regola di comportamento: «Fate quello che vi dirà». Non è una raccomandazione di valore solo contingente e circostanziale. Non valeva solo per Cana. Vale in assoluto: è la regola fondamentale del cristiano. Come Cristo ci ha insegnato a pregare il Padre perché avvenga la sua volontà, Maria ci indica il Figlio, che è il volto umano del Padre sulla Terra, come punto di riferimento per la nostra esistenza. Maria ci mostra, ci indica, ci insegna Cristo come persona centrale del nostro destino umano.
A Locarno abbiamo aperto l’Anno Mariano nel segno dell’affermazione che Maria di Nazareth è la figura perfetta di ogni credente. Ha vissuto, infatti, tutta l’esistenza protesa a capire il mistero della sua vocazione ed a seguire Gesù il Cristo, che lei stessa aveva generato, come figlio dei Padre. Ha creduto in Lui come Salvatore e Redentore del mondo.
Al termine di questo Anno Mariano, che ci ha visti protesi in una tensione straordinaria per capire anche noi che Lei è la figura in cui dobbiamo riconoscerci e rispecchiarci come credenti, Maria di Nazareth ci dà un’indicazione precisa: «Fate quello che vi dirà».
Vivete la vita come risposta alla vocazione di credere nella persona di Cristo come Redentore dell’uomo e della vostra persona. Seguite Cristo senza lasciarvi determinare dal mondo. Senza vivere in una posizione di subordinazione culturale e pratica alla mentalità dominante della società moderna.
Fedeli cristiani, questo Cristo, oggi, dobbiamo reincontrarlo tutti, perché l’abbiamo già incontrato nel Battesimo. Ciò che determina, infatti, il valore della nostra vita è la risposta che personalmente, e tutti assieme, diamo a questa vocazione. Dobbiamo reimparare a vivere la vita a partire dalla vocazione alla fede, che è stata posta da Dio dentro di noi.
Per questo, come risultato dell’Anno Mariano, abbiamo deciso di celebrare un primo anno dedicato alla riscoperta, da parte di tutti, della nostra vocazione cristiana. Una ripresa delle vocazioni sacerdotali e religiose non è possibile se, prima, noi tutti fedeli, preti, religiosi e laici, non prendiamo collettivamente coscienza della nostra vocazione cristiana: la vocazione che è comune a tutti e che è quella di seguire e fare ciò che Cristo ci indica di fare: «Fate quello che vi dirà».
Lasciando questa Eucarestia conclusiva dobbiamo partire con l’intenzione di comunicare agli altri queste cose. La nuova evangelizzazione del mondo e della nostra società proposta a tutti dalla Chiesa universale, attraverso il Papa, quale compito e responsabilità di questa vigilia del terzo millennio, ha come fondamento la riscoperta da parte di tutti noi del fatto che il senso della vita consiste nella risposta che diamo, nella fede, alla nostra vocazione personale. Essere missionari nel mondo coincide con il saper dire queste cose agli altri, ai nostri mariti, alle nostre mogli, ai nostri figli, alle persone amiche, alla vicina di casa, ai colleghi di lavoro, ai nostri fedeli nelle parrocchie e nei movimenti ecclesiali.
La Chiesa ci aiuta a capire cosa e come dobbiamo fare per seguire Cristo. La Madonna dei Miracoli, in cui si è manifestata Maria di Nazareth, ci lascia oggi, come eredità, questo motto per la nostra vita: «Fate quello che vi dirà».
È però la Chiesa che traduce concretamente, e in modo corrispondente alla cultura e ai bisogni del nostro tempo, questa regola di vita, con indicazioni dottrinali e pratiche.
Per udire cosa Cristo ci dice di fare nel profondo del nostro cuore dobbiamo imparare nuovamente ad ascoltare la voce della Chiesa. Essa ha ricevuto dal Signore il mandato di comunicare al mondo il suo Vangelo, ed essa sola lo può fare senza falsificazioni.
Cari cristiani, dobbiamo imparare di nuovo, sull’esempio di Maria, figura perfetta di ogni credente, ad ascoltare la Chiesa e il suo magistero. Il primo passo della nostra obbedienza a Cristo sta nel rimetterci in posizione di attenzione e di ascolto interiore per gli insegnamenti e le indicazioni concrete della Chiesa, di quella universale e di quella particolare, in cui siamo chiamati a vivere. Con tanta superficialità e ingenuità prestiamo invece ascolto alla voce dei mass-media e all’opinione dominante, da essi creata. Chi di noi, infatti, si preoccupa ancora di leggere i documenti del magistero e li considera lettura fondamentale per la propria vita? Leggiamo tutto, eccetto le Encicliche papali e le Lettere pastorali. Al loro posto leggiamo le critiche provenienti da qualsiasi voce estranea alla Chiesa o stonata nella Chiesa stessa.
La prima solidarietà con Cristo, e tra di noi, sta nella nostra obbedienza comune e cordiale alle indicazioni della Chiesa. La Chiesa è la nostra prima dimora, è il luogo dove possiamo riscoprire la nostra identità cristiana e ricostituire la presenza di Cristo nel mondo.
Cari sorelle e fratelli in Cristo; oltre a dedicare alcuni anni alla nostra riscoperta personale del fatto che la vita cristiana consiste essenzialmente nella risposta che diamo alla nostra vocazione (lavoro che dobbiamo fare tutti assieme se desideriamo veramente un riaffermarsi vigoroso del fenomeno delle vocazioni speciali, al sacerdozio e alla vita consacrata), oltre a questo lavoro comune e capillare, dovremo impegnarci tutti assieme a rifare la nostra catechesi: gli adulti prima di tutti. Incomincerà quest’anno il primo ciclo di catechesi preannunciato con la Lettera pastorale Siate forti nella Fede. Il ciclo globale sarà dedicato al Credo e quest’anno affronteremo il primo articolo dello stesso, che recita: «Credo in Dio Padre, creatore del cielo e della terra». Se Dio ci ha creati vuol dire che ci ha chiamati all’esistenza, vuole dire che già la nostra vita in quanto tale è una risposta a questa chiamata. Partecipare alla catechesi degli adulti è un atto di obbedienza a quanto Cristo ci dice di fare, attraverso la nostra Chiesa particolare.
Ma prima di concludere questo Anno Mariano, che potrebbe essere stato decisivo per la nostra vita e per il nostro destino, desidero farvi due ultime raccomandazioni.
Riprendiamo la recita dell’Angelus a mezzogiorno e la recita del Rosario. Il Rosario non è un rito familiare riservato ad una società povera, religiosa e senza divertimenti; non è una preghiera che esprime una cultura contadina o artigianale, del tempo in cui le famiglie, alla fine della giornata, potevano sedersi in cerchio a pregare, gustando un momento di unità. Oggi il tempo per guardare la TV nelle nostre famiglie lo troviamo, ma è un momento che invece di unirci ci divide.
Riprendiamo, perciò, questa preghiera, personalmente, in famiglia e nelle parrocchie. È una preghiera rivolta a Maria, che attraverso la meditazione dei misteri ci induce a pensare a Cristo suo Figlio. È un’occasione per capire e mettere in pratica quello che Lui ci dirà di fare.
«Fate quello che vi dirà». Se chiudiamo questo Anno Mariano portando nel cuore questa regola di vita, dettataci da Maria di Nazareth in Cana di Galilea, non sarà stato un anno della vita speso inutilmente.