Conversazione al programma della Televisione della Svizzera Italiana Controluce” 23.01.1994.
Michele Fazioli: Monsignore, adesso è di nuovo ammalato e si sta curando, lo ha detto in una lettera 7 giorni fa a tutti i parroci e dunque a tutti i cattolici ticinesi1. Mons. Corecco lei ha scritto in pratica alle donne e agli uomini del Ticino dicendo «sono ammalato, mi sto curando, rafforziamo la comunione tra di noi». Perché ha scritto questo?
Perché ha manifestato pubblicamente questo?
Mons. Corecco: perché ho intuito che fosse giusto farlo perché ho una funzione pubblica. Non ho una vita privata anzi, da quando sono diventato Vescovo l’aspetto privato della vita è quasi totalmente scomparso; ho una responsabilità nei confronti di tante persone, non ci sono ragioni per nascondere una malattia, anzi rivelare la presenza di una malattia può essere di aiuto a tante persone che soffrono, che sono malate anch’esse. Me ne accorgo del resto perché quando vado a Bellinzona al San Giovanni a fare la radioterapia incontro tante persone, e sento che si allarga loro il cuore a vedere che anche il Vescovo è lì in mezzo a loro e che fa le stesse terapie che devono fare loro. E poi ho pensato che fosse un modo di dare una testimonianza, per quanto io sia capace di dare veramente una testimonianza, sul come affrontare la malattia che è un momento serio, e forse il più serio della vita.
Fazioli: Nella sua lettera che è stata letta nelle chiese del Cantone Ticino sabato e domenica scorsi lei dice che questa sua malattia dovrebbe accentuare la comunione con i fedeli, con i membri, i cattolici che fanno parte della Diocesi, della Chiesa che è in Lugano, che è nel Ticino.
Cosa significa per lei questo rapporto fra la malattia e la comunione?
Mons. Corecco: La malattia è un valore a condizione di saperla vivere nel suo vero significato. Dicevo prima che la malattia fa emergere un momento estremamente serio della vita, tanto più quando la prospettiva potrebbe essere anche quella della morte, per cui la malattia pone l’uomo di fronte a sè stesso, lo ridimensiona; l’uomo sente di aver dentro una “finitezza” che però scopre nella sua verità solo quando questa finitezza esistenziale, diciamo metafisica, che ha dentro di lui, si rivela attraverso la malattia del corpo, e la malattia del corpo gli fa capire che il tempo è contato, è più breve di quello che uno può pensare quando è sano. Dunque pone l’uomo nella necessità o nell’urgenza di pensare al suo destino, alle ragioni del suo vivere ed anche alle ragioni del suo morire o del suo scomparire. Ecco in questo senso la malattia ha dentro un valore, se ha dentro un valore che è comune a tutti; dunque vivere la malattia bene e annunciare agli altri, dire agli altri, testimoniare agli altri come si deve vivere una malattia fa crescere le altre persone nella stessa esperienza, e del resto quando due persone fanno una esperienza uguale si sentono più amiche fra di loro, così è anche nell’ ambito dell’ esperienza religiosa e spirituale.
Fazioli: in un articolo di lunedì, il Direttore del Corriere del Ticino, Sergio Caratti, diceva che il testo della lettera del Vescovo non è fatto per infondere tristezza, al contrario invita alla serenità, alla preghiera, ed è in fondo una piccola lettera pastorale che vale da insegnamento circa l’atteggiamento che occorre cristianamente assumere di fronte alla malattia. Può essere letta così, quasi come un’indicazione pastorale?
Mons. Corecco: sì certo, ha perfettamente ragione il Direttore Caratti, ha colto nel segno aldilà forse della mia intenzione; non avevo intenzione di scrivere una lettera pastorale, né prevedevo in fondo che questo piccolo testo avesse una risonanza così grande, ma in realtà questo testo ha avuto una grande risonanza, tanta è che io ricevo un mare di corrispondenza in questi giorni.
Fazioli: e non può rispondere a tutti beninteso.
Mons. Corecco: non posso rispondere a tutti, cercherò, se ce la faccio quando sarò in Terra Santa di mandare una cartolina, comunque ringrazio tutte le persone che mi scrivono e si rifanno molto spesso a quello che ho detto nella lettera; arrivano dei testi che sono meravigliosi, questo fa capire che tanta gente aldilà delle apparenze vive una vita profondamente spirituale e ha il senso di queste cose. Per me non è la prima volta perché già in occasione della prima operazione ho ricevuto una montagna di corrispondenza e ho capito che, sì oserei quasi dire che sono più utile alla gente quando sono ammalato di quando sono sano.
Fazioli: questo farebbe dire che in qualche modo la malattia, il dolore, la croce si può dire, siano quasi augurabili, ma questo però è un modo un po’ pessimistico, perché il volontarismo alla sofferenza è anche sbagliato.
Mons. Corecco: no, non sono augurabili a nessuno, neppure a un Vescovo, perché la Chiesa ci insegna a pregare per rimanere nella salute; possono diventare una grazia dopo che sono capitate, ecco allora sì, bisogna riuscire a trasformare questo fatto, in sè negativo, trasformarlo in un momento di ricostruzione della persona e di instaurazione di rapporti con gli altri. Del resto il cristiano ha sempre, aldilà delle sue capacità di vivere queste cose, ha sempre una via di uscita perché può sempre dare senso alla sua malattia sapendo di essere accompagnato da Cristo che è morto sulla croce.
Fazioli: Lei ha detto in un intervista parlando di questo «la malattia mette tutto in discussione si può guarire, si può morire, può cambiare il resto della vita, mette a nudo il fatto che esiste un destino presente e futuro della nostra persona» e ancora in questa intervista che era ancora un intervista del direttore del Corriere del Ticino dice «l’ammalato anche se non dovesse esprimersi interiormente attraverso la preghiera, intuisce, registra pensieri profondi, prova sentimenti di ribellione contro il proprio destino, ama Dio o lo odia, gli dice di sì o grida l’ingiustizia, insomma uno in ultima analisi o prega o bestemmia ma sul letto dell’ ospedale vive sempre qualcosa di più profondo e perciò di più spirituale».
Mons. Corecco: questo è vero non perché l’ho pensato, ma perché l’ho vissuto; anch’io sono stato assalito dalla ribellione, dal fantasma, dalla incomprensione, dalla paura, non tanto questa volta, quanto l’altra volta, dalla paura di scomparire nel nulla, perché la fede non elimina l’emotività, non elimina le paure delle persone, almeno non a tutti, perché poi ci sono tanti modi anche di morire, c’e chi muore nella gioia, c’e chi muore invece nella paura, ogni persona reagisce…, comunque Gesù Cristo è morto nella paura, ha avuto profondamente paura di fronte alla morte, perché ha avuto l’impressione di scomparire nel nulla. E queste cose io le ho vissute, le ho scoperte, non sapendo che la gente potesse vivere così, mi ha arricchito. La fede è un giudizio che sostiene, che permette di non abbandonarsi a queste suggestioni, ma un conto è provarle e sentirle come tentazioni e un conto è abbracciare questa soluzione della vita.
Fazioli: nella lettera ai cattolici lei chiede la preghiera, dice «voi mi potete dare un aiuto con la preghiera con il vostro rinnovato impegno», dice ai parroci, e si dice certo, che «anche questa volta la preghiera vicendevole e quella profonda delle comunità avrà la potenza di creare fra noi un vincolo di unità più profonda». Allora lei che cosa chiede alla preghiera dei cattolici ticinesi?
Mons. Corecco: chiedo due cose, contemporaneamente una più importante dell’ altra ma umanamente l’importanza è rovesciata. Chiedo di guarire, ma chiedo soprattutto di saper vivere bene la malattia, perché questo è più importante della guarigione. Del resto io ho citato un salmo che ho letto per 50 anni e non avevo mai scoperto, perché si leggono e si ripetono le preghiere, poi improvvisamente scatta come una lampadina dentro la mente e uno scopre una frase sulla quale era passato mille volte; «la Tua grazia è più importante della vita», chissà quante volte ho letto questa frase, chissà quante volte l’han detta i preti, le suore e i laici che pregano le lodi della domenica. Poi improvvisamente ho capito la verità profonda che è contenuta in questa frase.
Fazioli: forse perché la fede per essere viva deve incarnarsi nella vita vera.
Mons. Corecco: certo, l’esperienza umana fa sentire e sperimentare la verità della fede perché la fede ci è data per capire meglio la nostra umanità e il nostro destino umano, non per sostituirlo, ma per capirlo meglio perché la fede non è un’ alternativa alla vita, ma è la rivelazione della verità sull’uomo e su Dio dunque per vivere meglio quello che stiamo facendo. Ecco, per dire che la Fede è adesione al proprio destino.(…)
Ho qui una preghiera che mi ha mandato una signora. Tra le molte cose che mi mandano, mi mandano delle preghiere estremamente significative e belle. Questa è la preghiera di un prete del IV secolo, che poi era filosofo e poeta, San Gregorio di Nazanzio che si è ammalato; immaginatevi cosa voleva dire ammalarsi nel IV secolo, voleva dire morire, dice «dammi forza Signore, perché ora sono annientato». Ha visto la morte e lo strazio «la mia bocca parlava forte di Te, adesso tace» e poi prega «Signore, dammi la forza, non abbandonarmi perché voglio di nuovo ritornare in salute per gridare il Tuo Nome a tutti». Lo avevo quasi paura di domandare al Signore di guarire perché dicevo, perché deve privilegiare me e tanta gente muore, ma quando ho letto questa frase ho cominciato a pregare di più perché anch’ io ho voglia di continuare ad annunciare: «Signore mia forza, non lasciarmi solo». Queste sono preghiere che rivelano il cuore dell’uomo.
Fazioli: Il fatto che le mandino queste preghiere significa che, come dice lei, da ammalato è riuscito a creare un filo di collegamento magari più intenso, più a nudo, nel senso più vero che non in veste ufficiale, il Vescovo istituzione.
Mons. Corecco: per questo dico che può darsi che la malattia mi renda più utile della salute.
Fazioli: forse la malattia pone anche il problema del tempo, perché c’è il tempo della sofferenza, della cura, della guarigione, c’è anche la percezione che può essere il tempo ultimo, insomma, ogni minuto diventa prezioso per l’impegno proprio della vita.
Mons. Corecco: può essere il tempo più favorevole e questo basta.(…)
Fazioli: … tra l’altro lei incontra la gente alle terapie radianti di Bellinzona?
Mons. Corecco: certo c’è gente che vuole assolutamente salutarmi. Una signora che mi ha salutato, poi è entrata prima di me dalla stessa squadra di infermieri che mi han detto che era felice, «finalmente sono arrivata a toccare la mano al Vescovo».(…)
Fazioli: mons. Corecco, quindi lei vivrà anche condividendo le cure, la malattia, i possibili dolori, la sofferenza, tutto insieme in una sorta di vita più intensa, anche se certo c’è da augurarsi che la sofferenza non ci sia e che le cure abbiano effetto.
Mons. Corecco: ma, non è la sofferenza fisica, perché oggi è facilmente controllabile, anche se non la si può eliminare del tutto, però non è questo il problema. La malattia è un fatto spirituale oggi, che può essere duro da vivere oppure può avere un significato.
Fazioli: Lei sa che con queste parole ha parlato anche a molti ammalati adesso in televisione?
Mons. Corecco: sono contento di avere questa occasione perché forse li trascuro, perché per quello che è il mio apostolato diretto, quello che faccio in prima persona, mi sono buttato sui giovani a partire da un’esperienza, a partire da una storia personale, a partire da una mia genialità in queste cose. Ma tante volte mi sono detto, perché non vado una volta al mese, una giornata intera in un ospedale a trovare la gente, adesso ho l’occasione di dire che comunque li ricordo tutti, che sono nella stessa situazione, che non vado a consolare dall’esterno perché consolare vuoI dire aiutare la gente a vivere con parole vere, con parole che aiutino le persone a vivere bene la loro situazione, non a nasconderla. Per questo motivo ho scritto la lettera, la malattia non deve essere nascosta ma vissuta.