Messaggio ai pellegrini di Lourdes scritta nella Solennità dell’Assunzione di Maria Santissima, 5 agosto 1992.
Carissimi pellegrini,
il decorso attuale della convalescenza non mi permette di accompagnarvi fisicamente fino a Lourdes. Ci contavo, tanto che quasi fino all’ultimo istante ho sperato che i medici potessero darmi il loro consenso.
Con voi sono tuttavia con lo spirito e la mente, con l’affetto e la preghiera, con l’amicizia e la riconoscenza, con la memoria dei pellegrinaggi vissuti assieme e con la paternità che il Signore, scegliendomi come vostro vescovo, mi ha chiesto di esercitare nei vostri confronti.
Il grande pellegrinaggio diocesano del mese di agosto, che da quando è stato introdotto in Diocesi dal Servo di Dio il Vescovo Aurelio Bacciarini, è diventato una pietra miliare della vita religiosa popolare della nostra Chiesa particolare, si distingue da tutti gli altri pellegrinaggi, perché, con un gesto di grandissima gratuità spirituale e materiale, porta a Lourdes centinaia di ammalati appartenenti alla nostra comunità diocesana: fratelli e sorelle nella fede che, da soli, forse non riuscirebbero mai a recarsi sui luoghi dove Maria di Nazareth è apparsa al mondo per affermare che il Signore le aveva fatto il dono impensabile di nascere, unica creatura al mondo, senza peccato originale.
La Concezione Immacolata di Maria è il privilegio che ci mostra quanto Dio Padre abbia ritenuto importante e sublime la collaborazione di questa giovanissima donna all’opera della redenzione, iniziata appunto attraverso l’Incarnazione del Figlio di Dio nel suo grembo.
La presenza di ammalati e sofferenti in mezzo agli altri pellegrini che si prendono amorevolmente cura di loro è un segno che esprime in modo particolarmente eloquente l’essenza stessa della nostra esperienza ecclesiale. E’ un gesto di comunione che mostra che, se desideriamo seguire veramente il Signore, non possiamo esimerci dal farci carico del bisogno e della sofferenza degli altri fratelli e sorelle nella fede.
Nella malattia, con tutte le sofferenze fisiche e spirituali che l’accompagnano, si manifestano tutte le miserie e tutto il male iscritti nella nostra natura umana quale conseguenza del peccato originale. La malattia, infatti, è sempre un esempio, più o meno realistico ed immediato a seconda della sua gravità, della nostra morte.
Non è necessario che una malattia implichi un reale pericolo di morte perché uno possa fare l’esperienza che essa ne è sempre una profezia: ci fa capire, infatti, come si svolge nella nostra vita la dinamica della nostra morte.
In questi mesi, durante i quali sono passato attraverso l’esperienza di due interventi chirurgici importanti, con tutte le fasi pre e post operatorie, ho capito, come non mi era mai capitato, in che cosa consiste la dinamica della morte: nella progressiva perdita della padronanza su noi stessi, sul nostro corpo e sulla nostra mente.
Questa esperienza, che nessuno evidentemente vorrebbe fare, il cristiano dovrebbe riuscire a viverla come una grazia che gli fa il Signore, perché è un momento in cui Egli ci aiuta a capire, in anticipo sul momento vero della nostra fine terrena, chi siamo noi e chi è Lui, il Signore. Ci aiuta a capire se è vero che gli vogliamo bene e se è vero che siamo disposti, come diciamo innumerevoli volte nella preghiera del Padre Nostro, a fare la sua volontà.
Quando pensiamo alla nostra morte futura, spesso domandiamo al Signore, nella preghiera, la grazia di avere il tempo di essere pronti, di fare per esempio la grande confessione generale. I cristiani che desiderano morire di morte improvvisa in ultima analisi sono spesso persone la cui fede è molto superficiale.
In realtà, però, il problema è molto più ampio di quello di avere il tempo di domandare al Signore, prima della nostra morte, il perdono dei nostri peccati.
Il vero problema è quello di essere capaci di dire veramente il nostro “sì” al Signore che ci chiama a sé, infrangendo, inevitabilmente, tutti i progetti che noi abbiamo ancora sulla nostra vita. Dire di sì con sincerità profonda e senza sotterfugi.
Proprio prima che il Signore mi visitasse attraverso la malattia ho incontrato dei cristiani pii e praticanti, e tanto devoti da ricevere tutti i giorni in ospedale la Santa Comunione, morire con la disperazione nel cuore, perché erano incapaci di accettare la chiamata di Dio a partire per l’altra vita.
La capacità di accettare questa volontà di Dio, che si manifesta inevitabilmente al momento della nostra morte, non possiamo improvvisarla all’ultimo momento. La malattia e le sofferenze che hanno attraversato in questi mesi la mia vita, anche se probabilmente non hanno mai messo in forse la continuità della vita terrena, mi hanno comunque fatto capire quanto sia importante prepararci attraverso un lungo cammino al momento nel quale il Signore ci chiama a vivere accanto a sé nell’altra vita.
Anche Gesù nel Getzemani ha fatto questa esperienza drammatica: quella di dire il suo “sì” al Padre, riuscendo ad estirpare dal proprio cuore ogni radice di resistenza. Se è riuscito a farlo pregandolo, è solo perché aveva vissuto tutta la: sua esistenza avendo come unico criterio quello di compiere la volontà del Padre.
Nessuno di noi è esente dal fatto di dover passare attraverso questo momento drammatico. Dobbiamo perciò prepararci adesso, educandoci progressivamente a vivere la nostra vita, ripetendo nell’interiorità profonda di noi stessi, il nostro sì alla volontà del Signore; vivendo cioè la vita come risposta alla vocazione alla quale il Signore ci ha chiamato.
Una malattia può durare anche quasi tutta una vita e tra i nostri pellegrini non mancano quelli che hanno vissuto un lunghissimo periodo della loro esistenza nello stato di persone afflitte da un male. La malattia può colpire tutti: le persone anziane, quelle di mezza età e i giovani; può essere più o meno dolorosa con implicazioni familiari e sociali difficili e gravi da sostenere. L’unico elemento che è comune a tutte le malattie che meritano questo nome è quello di essere l’esperienza anticipata, in cui il Signore ci chiama a lasciare tutti e tutto su questa terra per seguirlo nell’altra vita, in seno alla comunione dei Santi.
Tuttavia, pur implicando diversi gradi di sofferenza, pur facendoci attraversare momenti di esperienza umana, sociale e familiare diversamente difficili da affrontare, pur apparendo come un fattore che tronca in modo diversamente crudele i progetti della nostra esistenza umana, tutte le malattie hanno un altro elemento comune, che è quello di essere anche una grazia che ci fa il Signore. Poiché, se sappiamo viverle bene, ci aiutano a capire con più profondità il significato della vita ed il significato della morte. La malattia ci anticipa, preparandoci, il momento supremo della nostra vita, che è quello della nostra morte, perché la morte corporale dà inizio ad un altro stato di vita definitivo ed eterno.
Grazie alle innumerevoli ed incessanti preghiere scaturite spontaneamente dal cuore di migliaia di fedeli, grazie alla preghiera comune organizzata nel corso delle celebrazioni liturgiche in tutte le nostre parrocchie, grazie all’affetto di cui mi sono sentito accompagnato lungo tutti questi mesi, grazie alle amicizie antiche e nuove riemerse per le iniziative di innumerevoli persone, mi è stato possibile vivere questi mesi di assenza e di sofferenza in modo particolarmente intenso, ciò che mi ha permesso di cercare e di ricercare, fino a scoprirlo, il significato che la malattia poteva avere in generale per tutti ed in particolare per la mia persona.
Se ho vissuto questo tempo, non solo come un tempo di dolore e di sofferenza, ma anche come un tempo di grazia, è senza dubbio merito dell’aiuto che tutti voi fedeli mi avete dato. Di ciò vi sono immensamente grato e prego il Signore che vi ricompensi con la sua grandissima generosità.
A voi pellegrini di Lourdes, che siete una porzione di quelle persone che mi sono state così profondamente vicine, vorrei rivolgere l’invito di guardare i pellegrini ammalati che portate con voi con lo stesso senso di solidarietà e di comunione cristiana con il quale avete guardato al vostro vescovo in questi lunghi mesi di malattia.
Se riuscirete a vivere così il pellegrinaggio di Lourdes, non pensando solo ai vostri problemi personali, ma allargando il vostro sguardo ed il vostro cuore ai bisogni di tutta l’umanità che vi circonda, esso diventerà un momento di profonda conversione interiore per tutti.