Omelia per la Santa Messa in suffragio delle vittime della strage di Rivera, 6 marzo 1992.
Sono venuto per essere con voi e per esprimervi la tenerezza e la solidarietà umana e cristiana di tutta la popolazione del Cantone.
Anche il nostro cuore è stretto nella morsa del dolore e nessuno vorrebbe che il vostro dolore si trasformasse in disperazione.
S. Paolo afferma che è cristiano solo colui che sa soffrire con chi soffre e piangere con chi piange.
Di fronte a Lazzaro morto anche Gesù è scoppiato in lacrime. Ha provato lo stesso sentimento funesto, che la morte esercita sul nostro cuore umano.
Se accettiamo totalmente di soffrire con voi, superando ogni tentazione di facile indifferenza, è perché siamo persuasi, che questo nostro patire assieme a voi è in grado di sostenervi, per tenere lontano dal vostro cuore ogni pensiero di disperazione.
Ieri mattina il Ticino si è risvegliato, scoprendosi diverso.
Ha capito che quanto succede nelle grandi metropoli, può succedere anche da noi.
E’ avvenuto un disincanto: quello di credere che certe espressioni supreme del male, non avrebbero mai potuto prendere dimora in mezzo a noi.
Questo male lo possiamo vincere solo con la solidarietà reciproca. Abbiamo bisogno tutti di cambiare vita. Il primo modo di farlo è quello di stringerci tutti, ogni volta, attorno a quelli che soffrono. Noi ci stringiamo attorno a voi con l’affetto, con la preghiera e con una parola, che sgorga dalla nostra fede cristiana più profonda.
Consolare significa saper dire a chi versa nel dolore una parola di aiuto. Una parola che sappia riproporre un modo di affrontare il male e il dolore, che accompagnano sempre la vita umana.
Il male e il dolore non sono eliminabili dalla nostra vita. Se vi ho proposto come riflessione il testo preso dal libro del Qoèlet è proprio perché constata che sotto il firmamento della vita umana c’è sempre:
«C’è un tempo in cui si vive e un tempo in cui si muore,
un tempo in cui si gioisce e un tempo in cui si soffre,
un tempo in cui si ride e un tempo in cui si piange» (cfr. 3,2-4)
Non esistono ragioni umane per spiegare questi contrasti della vita. Il Profeta, però, sa che sopra il firmamento c’è Qualcuno che tutto conosce, per cui, il mondo un senso deve averlo.
Ci da una testimonianza di fede in Dio, che è tanto più eroica, quanto più la ragione umana è messa a dura prova.
Anche la nostra ragione, di fronte alla strage, che avete e abbiamo subito, è messa a dura prova. Come è stata messa a dura prova di quella degli astanti, che vedendo Gesù, incapace di trattenere i singhiozzi, si erano chiesti: «Costui che ha aperto gli occhi al ceco non poteva far sì che questi non morisse?». (Gv 11,37)
La risposta di Gesù è stata chiara: «lo sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vivrà in eterno». La fede non ci mette al riparo da nessuna disgrazia, salvo il miracolo, ma ci aiuta a superarle.
Vivere in eterno significa non cadere nella disperazione, perché, anche se moriamo nel nostro corpo, la nostra persona mantiene tutto il suo significato. Cristo, che è stato straziato sulla Croce, ci coinvolge nella sua risurrezione.
Risorgiamo dopo la morte, ma possiamo risorgere dal dolore durante la vita. Tutti possiamo risorgere dal dolore, anche quando è immenso, come il vostro e il nostro, se riusciamo a capire, poco a poco, quale significato una disgrazia può avere per la nostra vita.
Il Signore dandoci il dono preziosissimo della vita, ci pone anche di fronte al problema della morte e ci chiede di scegliere da che parte stare.
Lo chiede a ognuno di noi, ma lo chiede anche alla società.
Chiede a ognuno di noi di dare un senso al nostro vivere, al nostro lavorare e al nostro amare. La morte ci richiama a queste verità fondamentali.
L’uomo risorge ogni giorno dal male e dal dolore, quando è capace di dare un senso positivo al suo destino terreno.
Anche la nostra società, che sta insensibilmente sprofondando nell’egoismo, nell’indifferenza verso gli altri, nel qualunquismo, nell’abuso del potere, nel materialismo, nella violenza, nell’ ostracismo degli estranei, nella erotizzazione della vita privata e pubblica, nella soppressione della vita umana, nella sete di consumo e di benessere e nella dimenticanza di Dio; la nostra società, di fronte a una tragedia di queste proporzioni e a un dolore collettivo così immenso deve chiedersi come saper risorgere.
Le tragedie non sono il frutto solo della mente insana di pochi individui, ma il frutto avvelenato di un indebolimento collettivo delle coscienze e di un comportamento immorale generalizzato.
Cari fratelli e sorelle nel Signore. Tutti dobbiamo sentirci implicitamente colpevoli di quanto è accaduto.
lo vi invito a pregare per le vittime di questa strage, per coloro che sono sopravvissuti schiacciati sotto il peso del dolore, per i loro familiari, e anche per chi l’ha commessa.
Vi invito a pregare il Signore e la Vergine Addolorata, perché aiutino loro, ma aiutino anche noi, a capire cosa dobbiamo fare della vita, che abbiamo ricevuto come dono.
Si può risorgere da una tragedia attraverso la conversione personale e collettiva.
Il dolore purifica il nostro cuore, la preghiera salva la nostra esistenza in Dio, la fede nella nostra risurrezione in Cristo, che attraverso il Suo Vangelo da senso al nostro vivere, ci infonde la speranza per poter continuare ed essere migliori.