Relazione tenuta all’Università di Parma il 5 maggio 1991.
1. La Chiesa si trova oggi in Europa ad operare in una situazione profondamente diversa rispetto al passato. Rimasta tuttora profondamente radicata nel popolo, almeno in certi Paesi mediterranei, sia pure con gradi di consapevolezza diversi nei singoli fedeli, essa è chiamata ad operare in un tessuto socio-politico, non solo trasformato ed enormemente arricchito, ma anche in una società le cui strutture fondamentali non sono più determinate, come nel passato, dalla Chiesa ma da altre forze culturali e politiche.
La Chiesa ha perso in Europa l’egemonia economica, politica e culturale. Questo è tanto più vero se, per culturale, non si prende l’accezione più esatta, quella che definisce la cultura come il modo concreto con il quale le persone concepiscono se stesse, di fronte agli altri ed alla trascendenza, bensì quella più accademica, riduttivamente fatta coincidere oggi con la ricerca, l’insegnamento e le belle arti.
L’assenza di egemonia è registrabile, anche a livello della Chiesa universale, come conseguenza del fatto che la Chiesa è rimasta sostanzialmente solo europea o per lo meno occidentale, fin verso la fine del secolo scorso.
In Europa, questo cambiamento è avvenuto in seguito all’emergere ed all’imporsi, negli ultimi tre secoli, di quel fenomeno culturale che ha preso il nome di modernità. Esso, in quanto fenomeno culturale vivente, si caratterizza per il modo di impostare il rapporto con l’eredità del passato.
2. Alle origini si è trattato di un fenomeno prevalentemente spirituale, cioè di pensiero filosofico, le cui radici sono profonde e risalgono al Rinascimento. Un fenomeno che è stato messo a tema, dal profilo dottrinale, soprattutto da Déscartes, benché il termine «modernità», in quanto tale, faccia la sua apparizione solo verso il 1850, con Baudelaire.
L’uomo moderno è colui che per la conoscenza di se stesso e del mondo utilizza solo la ragione. La fede serve, eventualmente, per l’altra vita, ma non per organizzare la vita presente sul piano politico-economico, sociale e culturale.
Da questa posizione razionalistica è nato il rifiuto del passato. Solo ciò che è nuovo è vero e il nuovo è inteso come superiore all’antico e come sinonimo incontrastato di progresso. La dialettica di Hegel identifica nella «tesi» il passato e nell’«antitesi» l’ipotesi nuova, considerata unica ad essere vera. La «sintesi» storica che ne deriva è ineludibilmente sottoposta a continua revisione, cosicché, a sua volta, si trasforma in «tesi», che sarà superata da un’altra «antitesi», cioè da un’altra novità: cioè dall’idea più moderna.
Su questa ideologia del progresso venne ad innestarsi quella delle età del genere umano, propagandata da Auguste Comte. Le epoche della storia corrispondono alle età della ragione; prima la fase teologica, poi quella filosofica e da ultimo quella positiva, che corrispondono all’infanzia, all’adolescenza ed alla maturità della persona e del genere umano. Infatti, all’interrogazione « Was ist die Aufklarung?» Emmanuele Kant risponde nel 1784: «L’uscita dell’uomo dalla minorità, di cui lui stesso è responsabile». La minorità per Kant è l’incapacità di servirsi della ragione.
Tale prospettiva metodologica, è fondamentalmente inconciliabile con l’essenza più profonda del cristianesimo. Infatti, la conoscenza e l’esperienza della fede cristiana possono progredire ed evolvere, come sta avvenendo in questi ultimi decenni, ma non possono mai guardare al passato, quasi fosse un fatto da eliminare come obsoleto.
Il principio culturale fondamentale del cristianesimo è affermato dal fedele, ogni giorno, nella celebrazione dell’Eucarestia, quando ripete, dopo la consacrazione del pane e del vino, la consegna data da Cristo ai discepoli nell’ultima cena: «Fate questo in memoria di me».
Fate, dunque operate, progettate, guardate al futuro, arrischiate previsioni, evolvete nella conoscenza della storia del mondo, dell’uomo, del creato, del micro e macro cosmo, avendo però presente la memoria del mistero della mia incarnazione, morte e resurrezione. La memoria cristiana non è, tuttavia, il semplice ricordo di un avvenimento del passato, quello del Cristo storico. Non è solo la conoscenza di un passato, di cui ci si può sbarazzare, quando dovesse apparire socialmente e politicamente irrilevante, ma è memoria, attualizzata nei sacramenti e nella Chiesa, in quanto realtà sociale sacramentale, della presenza del Cristo risorto. A Cristo, il cristiano non può rinunciare, perché non è solo morto, ma è anche risorto; è dunque presente nella Chiesa che è la comunità di tutti coloro che si uniscono tra di loro, perché credono in Lui.
La Chiesa è un fenomeno sociale che assume sempre una rilevanza politica, economica, culturale, anche quando non è egemonica, perché è quella realtà sociale attraverso la quale il Figlio di Dio risorto rimane presente nella storia.
Ciò che è cambiato in questi ultimi secoli è solo lo spessore della rilevanza politica, sociale e culturale, che questa presenza di Cristo, nella Chiesa, assume all’interno della società contemporanea. E’, infatti, diversa rispetto a quella esercitata nel passato dalla Chiesa, da Costantino fino alla Rivoluzione francese, di cui peraltro si è celebrato nel 1989, non senza pompa, ma anche senza grandi speranze e prospettive, il bicentenario.
Questo fenomeno storico di egemonia socio-politica della Chiesa, va detto subito a scanso di equivoci, è, in quanto tale, irripetibile. La storia non torna mai indietro e la cristianità, cioè quel fenomeno sociale, religioso, politico, che ha globalmente investito e unificato la storia dell’Europa, dall’alto al basso Medioevo, fin dopo il Rinascimento, cioè per circa 1500 anni, non può più ripetersi e nessuno sogna o progetta il suo ritorno.
La nuova evangelizzazione dell’Europa non ha come obiettivo il ritorno della cristianità, ma il ritorno dell’Europa ad una fede reale in Gesù Cristo.
Ciò che è rimasto presente nella società moderna non è, infatti; la cristianità, ma la Chiesa in quanto tale, che si trova oggi a dover operare in un mondo non più fatto da lei, ma da altri.
Non bisogna inoltre dimenticare che sulla scena internazionale della storia contemporanea, in cui si trova confrontata la Chiesa, non è più presente solo l’Europa, ma si sono affacciati, con grande determinazione, i popoli del mondo intero. In seno a questi popoli la Chiesa cattolica e le altre Chiese non rappresentano, come in Occidente, la maggioranza della popolazione. Ne consegue che solo un quarto o un quinto della popolazione mondiale è cristiana e, di questa, solo poco meno di un miliardo si riconosce nella Chiesa cattolica.
3. La società occidentale contemporanea, cioè la modernità, che non ha ancora investito totalmente l’Africa e l’Asia, si è formata sulla base di due ideologie: da una parte il liberalismo, dall’altra il marxismo.
Il marxismo ha rappresentato la punta più avanzata della modernità, perché ha applicato nei confronti della realtà non tanto lo strumento della ragione, ma quello della ragione scientifica (il materialismo dialettico). Proprio in questi ultimi tempi, i rivolgimenti avvenuti all’Est sembrano indicare che il comunismo è arrivato al capolinea del suo sviluppo, anche se la classe politica da esso prodotta non è ancora cambiata.
Anche il capitalismo, che nasce dal principio della libertà, applicato rigorosamente solo nel settore del liberalismo economico, è in crisi, benché non lo voglia probabilmente ancora riconoscere. Attanagliato, infatti, dal principio della massimizzazione del profitto, non riesce strutturalmente, a distribuire in modo equo la ricchezza prodotta, ed oggi nemmeno più a reinvestire tutti i capitali che produce. Ha arricchito pochi, tra cui noi, ed ha impoverito molti, il terzo mondo o meglio il Sud. La guerra del Golfo ha segnato un’evidente sconfitta del capitalismo che non ha saputo fare altro che una politica dettata dagli interessi economici, ignorando i diritti fondamentali dei popoli di quell’area geografica.
Vale osservare, a scanso di molti equivoci, che l’essenza della modernità non è costituita dai progressi della tecnica (con tutti i suoi valori e vantaggi, ma anche con tutti i problemi di ordine etico, ambientale e di costume, cui non sa dare adeguate soluzioni), bensì dal presupposto aprioristico, secondo cui la verità coincide con la novità.
Finite, o in profonda crisi teorica e politica, le due ideologie che l’hanno prodotta, anche la modernità, in quanto fenomeno, sembra volgere al termine.
L’idea che oggi il mondo occidentale sia entrato in una nuova fase, detta «post-moderno» è, infatti, universalmente accettata. Rimarranno ancora molti fenomeni residui, all’Est e all’Ovest, ma ciò a cui non si può più credere è che essa possa ancora essere considerata, come cultura, in grado di accompagnare, filosoficamente ed eticamente lo sviluppo tecnico ed economico futuro, per impedire una sua ritorsione contro l’uomo e l’ambiente.
Anche gli esperimenti di Reagan e della Thatcher hanno rivelato i loro limiti. Hanno creato sostanzialmente una nuova opulenza, ma, oltre a sacche di povertà negli Usa e nel Regno Unito stessi, questi tentativi di rilanciare in modo radicale il, principio dell’iniziativa privata, della libera concorrenza e perciò della massimizzazione del profitto, hanno aumentato ulteriormente, a livello mondiale, lo scarto tra il Nord e il Sud. Non è irrilevante che il Papa, nel Sahel, abbia chiesto ai Paesi ricchi del nord di prendere coscienza del fatto che il fenomeno di quella miseria equivale ad un fratricidio.
4. Il post-moderno, dunque, è costituito sia da un vuoto ideologico, sia dalla coscienza culturale di siffatte contraddizioni; da una situazione, cioè, in cui, la fine o i limiti delle ideologie che hanno creato la modernità, sono emersi così chiaramente, da non poterli più considerare come forze progettuali affidabili per il futuro.
La Chiesa si trova, perciò, ad operare in condizioni storiche molto diverse rispetto al passato. La Chiesa universale ha davanti ora tutto il mondo, con un quadro di problemi religiosi, sociali, politici estremamente eterogenei: le grandi religioni orientali, la perdita della cultura propria di interi continenti, come l’Africa; la Chiesa particolare in Europa si trova inserita in quella parte del mondo, in cui la modernità ha creato negli ultimi secoli un’alternativa all’esperienza socio-politica della cristianità, rifiutata e giudicata sommariamente, dal secolo dei lumi, come epoca dell’oscurantismo e della superstizione.
In questo contesto dobbiamo capire il mandato dato ai cattolici, e indirettamente a tutti i cristiani, prima da Papa Paolo VI, poi, con crescente insistenza, da Papa Giovanni Paolo Il: evangelizzare nuovamente l’Europa; programma che è stato assunto anche dalla Chiesa anglicana.
Il Papa ha contribuito attivamente ad accelerare il momento della fine dell’espressione più ambiziosa della modernità, cioè del marxismo.
Nella sua enciclica «Sollicitudo rei socialis» ha messo però anche in evidenza il fatto che, oggi, il problema centrale della giustizia, e perciò della pace nel mondo, deve essere individuato nella posizione di subordinazione del sud rispetto al nord: subordinazione che, inevitabilmente, s traduce in sfruttamento del primo ad opera del secondo.
Denunciando questo fenomeno come espressione del fallimento storico del principio capitalista della massimizzazione del profitto, il Papa non propone, come alternativa, l’avvento di una nuova cristianità, per l’Europa. Intende solo avvertire che l’unità europea non può essere semplicemente progettata sulla base degli stessi principi che hanno creato la modernità.
Dalla modernità infatti hanno avuto origine i nazionalismi che hanno distrutto l’unità’ dell’Europa. Il nazionalismo moderno è figlio della filosofia dei lumi, che. ha avuto nel Re Sole il suo primo grande «sponsor» politico.
E’ incontestabile del resto che la spinta europea contemporanea non è più quella idealista, post-bellica e cristiana, di Schumann, De Gasperi e Adenauer; è una spinta pragmatista, prodotta più da un calcolo economicopolitico, che dall’intento di creare l’unità del popolo europeo sulla base di valori veramente comuni. E’ generata oggi prima di tutto, dall’urgenza di creare un blocco di potere economico-politico, capace di contrapporsi, per la sopravvivenza stessa dell’Europa sia alla tradizionale egemonia dei paesi anglosassoni, sia all’emergere dei popoli asiatici, guidati dal Giappone, che potrebbero però fondersi in una potenza economico-politica, molto più grande, comprendente l’India, la Cina e l’Unione Sovietica non europea.
5. Evangelizzare significa, nella sua sostanza, far riscoprire all’uomo o contemporaneo il significato culturale del mandato affidato da Cristo nell’ultima cena, a tutti i cristiani: «Fate questo in memoria di me».
Significa perciò fare un’operazione culturale che permetta all’Europa non solo di diventare una potenza economico-politica mondiale, ma anche di rimanere fedele alle sue origini cristiane, perché, sulla base di questa identità e specificità culturale, possa ancora inserirsi, come nel passato, nel nuovo progetto per il mondo.
La civiltà dell’Occidente è nata dalla capacità del cristianesimo di integrare, da una parte la filosofia greca, attraverso i Padri della Chiesa e la teologia scolastica di S. Tommaso; dall’altra, l’arte di governare; propria dell’impero romano che ha trovato nel Corpus Iuris Civilis di Giustiniano e nel Corpus Iuris Canonici del tardo Medioevo, la sintesi tra il diritto civile e quello ecclesiale, sintesi culturale che, «antelitteram», ha preceduto lo Stato di diritto moderno.
Da ultimo non bisogna dimenticare che, nel feudalesimo, la cristianità ha assorbito il principio della decentralizzazione del potere politico e l’idea federalista, caratteristica dei popoli germanici.
Il cristianesimo, contrariamente all’illuminismo, non ha dichiarato obsoleto il passato, ma ha integrato le grandi spinte del pensiero umano, filosofico, politico e artistico più avanzato.
Lo splendore della cultura e dell’ordine sociopolitico europei, che hanno permesso una convivenza tra popoli diversi nell’unità giuridica del Sacro Romano Impero, malgrado tutte le sue smarginature, non ha probabilmente uguali nella storia dell’umanità.
Non ha paragoni con le culture dei grandi imperi, come quello celeste in Cina, quello dei Faraoni, degli Incas o degli Aztechi, perché sorti attorno al principio della divinizzazione di pochi uomini e dello sfruttamento in massa di tutti gli altri. Bastano pochi viaggi e pochi libri di storia per rendersi conto di questo fenomeno. L’uomo e la donna europei per contro, anche i servi della gleba, sono sempre stati cittadini «ante-litteram», perché nessuno, e soprattutto il potere politico, ha mai potuto uccidere un cristiano impunemente, almeno dal profilo morale.
Nuova evangelizzazione significa, perciò, far riscoprire oggi ai popoli europei le proprie origini ed i valori fondamentali su cui si appoggia tutta la struttura della cultura europea, nella sua essenza di estrazione cristiana.
Significa, di conseguenza, ancora una volta recuperare ed integrare in una visione cristiana anche le istanze fondamentali delle due linee di pensiero che hanno caratterizzato la modernità. Da una parte, l’istanza originaria del liberalismo filosofico, formulato nella triade libertà, uguaglianza e fratellanza, dall’altra l’istanza sociale del marxismo, di cui la dottrina sociale della Chiesa è quasi coeva, benché sia stata totalmente disattesa anche dalla Internazionale Socialista, ispiratasi, con modulazioni più o meno dichiarate e spinte, all’ateismo del materialismo dialettico.
La nozione di libertà è la nozione chiave. Tuttavia è ormai sempre più apertamente teorizzata e stravolta come possibilità di ciascuno di fare quello che vuole nella vita privata, prescindendo dal vincolo, iscritto nella coscienza dell’uomo, non solo con un qualsiasi codice morale di norme oggettive di estrazione filosofica, ma soprattutto con una norma morale che rimandi alla trascendenza.
La libertà, in termini cristiani, non è né la possibilità di agire senza punto di riferimento morale, né di avere come referente una dottrina etica puramente razionale, come potrebbe essere quella proposta da Kant e dalla migliore filosofia moderna.
La libertà cristiana consiste nella capacità di aderire esistenzialmente non solo ai valori evangelici, ma soprattutto alla persona di Cristo. Il mistero della Croce inoltre, richiama il cristiano al fatto che la sofferenza è ineludibile e purifica ogni scelta morale da ogni rischio di equivoco. Non c’è scelta morale senza sacrificio.
All’uguaglianza deve essere dato un respiro più universale. La rivoluzione francese, infatti, l’ha riconosciuta solo al cittadino. Il formarsi dell’Europa, come nuova entità sociopolitica, deve avvenire sul presupposto che il soggetto vero della storia non è il cittadino, ma l’uomo in quanto tale, e che, di conseguenza, l’uomo è cittadino, non solo di una nazione o di una realtà europea, ma cittadino del mondo.
Solo così è possibile arrivare ad una nozione di uguaglianza che recuperi l’affermazione cristiana fondamentale, secondo cui tutti gli uomini sono figli di Dio e che Cristo è morto per la redenzione di ogni singola persona umana, indipendentemente dalla sua razza, dal suo colore, dalla sua lingua, dal suo censo e dalla sua situazione sociale.
Da questa uguaglianza in Dio e da questa fratellanza in Cristo deriva una nozione di solidarietà umana, che supera i limiti illuministi di fratellanza, peraltro ampiamente disattesa da molti regimi politici, democratici o meno, nati dalla rivoluzione francese, e che il marxismo, dal canto suo ha stravolto come massificazione degli individui.
La nuova evangelizzazione ha come obiettivo di ridare all’Europa quella “leadership” culturale che ha sempre esercitato in tutto l’Occidente, ed in larga misura sul resto del mondo, purtroppo attraverso la politica coloniale che l’ha esportata quasi sempre in malo modo.
Contrariamente a quello che ha fatto il cristianesimo medioevale nei confronti dei popoli barbari, il colonialismo occidentale non ha saputo dare dignità e voce alle culture indigene, per integrarle in una sintesi più ampia. Questo è il compito storico della Chiesa contemporanea. Un compito di evangelizzazione, che la Chiesa universale sta praticando direttamente nei continenti del Terzo mondo, godendo il vantaggio di essere affrancata ormai da quelle sovrastrutture politiche del colonialismo che l’hanno imbrigliata, dal secolo scorso fino a metà di questo secolo. Le Chiese particolari in Europa e nel Nord America, invece sono chiamate oggi a compiere questa evangelizzazione, con evidente maggior fatica, in seno ai popoli del loro stesso continente.
Ogni vescovo europeo è posto davanti oggi a questo compito. E’ un compito senza dubbio estremamente arduo, da realizzare in tempi e con prospettive molto lunghi, tuttavia non scoraggiante, soprattutto se non si dovesse tener conto del fatto che la modernità, con la sua “leadership”, volge verso il termine, lasciando dietro di sé uno spazio culturalmente libero da ideologie, che a lungo termine non possono più avere, perciò, la pretesa di essere egemoni.
6. La nuova evangelizzazione, intesa in questi termini culturali, implica tutta una serie di elementi di cui intendo enucleare solo pochi.
Prima di tutto, il criterio che la Chiesa non deve orientare i suoi sforzi a conservare o salvare le istituzioni, come se queste, per se stesse, fossero in grado di provocare i fedeli alla fede, ma deve fare uno sforzo per raggiungere le persone nella loro interiorità. La pastorale deve cercare di sollecitare la persona, non tanto a compiere gesti rituali, ma a porsi il problema del significato che il fatto storico e il mistero di Cristo può avere nella sua vita reale. In sostanza non si tratta di fare una pastorale delle cose ma delle persone.
La catechesi delle persone adulte, di cui gli adulti devono, comunque e con ogni evidenza, riappropriarsi, deve provocare i fedeli ad un paragone e ad un confronto tra i contenuti della fede e la loro vita personale e sociale, e con i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita della società.
Ne consegue che il contenuto prioritario dell’evangelizzazione non deve essere quello della morale, bensì quello della fede. La funzione della Chiesa non è quella di servire al potere costituito, per mantenere la società entro parametri di moralità che possano garantire un migliore ordine e una stabilità. Spesso la società moderna, nelle sue espressioni più conservatrici, tollera e magari sostiene la Chiesa, come forza capace di garantire certi valori morali comuni. Appena però si manifesta nella sua originalità missionaria e pone Cristo come punto di riferimento per la salvezza, la società illuminata e razionalista reagisce, sia da destra che da sinistra, denunciando il pericolo dell’integralismo.
La proposta della Chiesa non è indirizzata solo alle persone, ma anche alla società, per cui la pastorale deve cercare di ridare una dimensione popolare all’esperienza ecclesiale. I cristiani hanno bisogno di riacquistare la coscienza di essere un popolo, il Popolo di Dio; di riscoprire il gusto dell’appartenenza ad una realtà visibile che, oltre a dare più sicurezza alle persone, le aiuta a superare quell’individualismo, respirato nella società civile, che è uno dei risultati più equivoci della modernità.
Il fatto di ricostruire una coscienza sociale nelle persone, per ricomporre il tessuto sociale nella popolazione, è uno dei contributi culturali che la Chiesa ha dato e deve sempre dare al bene comune.
La nuova evangelizzazione implica come elemento essenziale anche quello di ridare voce e dignità culturale all’esperienza ecclesiale.
Gentili signore e signori, non sono sicuro di avere corrisposto alle vostre aspettative. Credo comunque di avere dato un contributo, sorretto dalla certezza che ognuno di noi, consapevole dei propri limiti e delle possibilità geograficamente circoscritte della propria azione, deve dare un contributo alla rinascita di un’Europa nuova.
Ognuno deve dare il proprio contributo, fosse anche piccolo, e lo deve dare secondo la missione di cui è investito. Ho cercato di farlo come vescovo, non come economista, politico, o uomo appartenente all’Olimpo ufficiale della cultura.