Discorso tenuto in occasione del Centenario dell’inaugurazione della nuova sede del Corriere del Ticino, 13.06.1993.
Uno dei più grandi maestri della cinematografia contemporanea, il giapponese Akira Kurosawa, ci ha descritto, con impareggiabile realismo, le difficoltà che tutti incontrano nella conoscenza e nella testimonianza della verità mettendo però sottilmente a tema, con una sfiducia di ascendenza pirandelliana, anche l’impossibilità di accertarla.
Nella trama del film Rashomon, quattro persone, compreso lo spirito dell’uomo ucciso, che parla per bocca di un medium, hanno assistito al consumarsi di uno stesso delitto. La versione dei fatti viene raccontata in modo diverso dai quattro testimoni.
Qual è la verità? Anzi, che cos’è la verità? «Quid est veritas?». È la celebre domanda posta da Ponzio Pilato. La cultura moderna rischia oggi di erigere a dogma lo stesso smarrimento intellettuale provato dal Procuratore romano di fronte a Gesù di Nazareth. La verità corre il rischio di essere degradata al rango di mera opinione, di “doxa”, come diceva Platone a proposito degli schiavi incatenati nella caverna; oppure di divenire, più o meno consapevolmente, strumento di manipolazione e di inganno, per finalità spesso contrarie al bene comune e alla morale.
Le trasmissioni “live” della guerra del Golfo ci hanno offerto l’esempio contemporaneo più clamoroso.
È indubbio che, a questo cedimento culturale, siano particolarmente esposti quanti sono impegnati professionalmente nel settore degli strumenti delle comunicazioni sociali: di questi prodotti della scienza e della tecnica umane, che, per loro natura, sarebbero chiamati a guidare gli individui e i popoli verso la conoscenza della verità, non solo visibile, ma anche invisibile, etica e religiosa.
Rivolgendosi a coloro che operano nel mondo dei mass-media, il Concilio Ecumenico Vaticano II, con il decreto Inter Mirifica, che nella storia della Chiesa costituisce il primo solenne intervento del Magistero ecclesiastico in materia, raccomanda agli operatori delle comunicazioni sociali di utilizzare questi strumenti perché «rispondano pienamente alla grande attesa dell’umanità e ai disegni di Dio».
Questa esortazione presuppone l’esistenza, nel Magistero della Chiesa, di una fiducia incrollabile nella possibilità conoscitiva della ragione e della capacità etica dell’uomo di porsi in modo corretto di fronte al problema della verità. Rappresenta anche un indubbio riconoscimento del ruolo centrale che gli strumenti delle comunicazioni sociali rivestono nella società contemporanea.
Essi, infatti, possono contribuire efficacemente al bene comune, alla promozione dei valori morali e spirituali, al progresso e alla prosperità della compagine sociale.
Anzi, è ormai opinione comune che l’informazione, in quanto tale, sia diventata garanzia imprescindibile per ogni vera esperienza democratica, assurgendo così, nella veste di “quinto potere”, pubblico o privato, a presupposto costituzionale di ogni forma di convivenza umana basata sulla libertà. Non è certo pura coincidenza il fatto che i colpi di Stato, di qualsiasi stampo ideologico, abbiano sempre come obiettivo immediato l’occupazione delle antenne televisive e delle redazioni dei grandi organi del la stampa scritta. Una corretta informazione è garanzia di libertà e di democrazia.
Consapevoli di quanto delicata ed importante sia questa missione culturale e socio-politica, i giornalisti sono chiamati, in quanto cittadini e, se del caso, anche in quanto credenti, a specifici obblighi di etica professionale.
L’attività d’informazione deve essere, nei contenuti, sempre verace ed integra, sempre attenta a salvaguardare la sfera intima della persona umana e la giustizia; quanto ai modi, onesta e conveniente, vale a dire rispettosa delle leggi morali e della dignità dell’uomo.
A voi giornalisti compete di formare, favorire e promuovere nell’opinione pubblica informazioni conformi, come afferma il Concilio Vaticano II, «alla verità, al diritto naturale e alla morale», e di far conoscere nella giusta luce i fatti che riguardano la vita sociale, non esclusa quella religiosa ed ecclesiale.
È fondamentale per gli operatori delle comunicazioni sociali essere consapevoli, nella loro fatica quotidiana, che il bene morale ed il progresso intellettuale e culturale, sia della comunità civile che di quella religiosa, dipendono in larga misura dalla rettitudine interiore con cui fanno uso della loro professionalità, cui l’etica appartiene come componente essenziale.
Ed è per questo che la benedizione di una Redazione, raccolta, nel suo glorioso centenario, attorno al suo Editore, al Direttore, e a una splendida nuova rotativa, è ampiamente giustificata. Tutti, infatti, abbiamo probabilmente bisogno dell’aiuto del Signore per essere più profondamente veri di fronte a noi stessi e di fronte agli altri.