Incontro di formazione per gli educatori dell’Azione Cattolica Ragazzi (ACR)
Lugano, 6 marzo 1993
Questa volta inizio ponendovi una domanda che già io e il vostro Assistente ci siamo posti: «Cosa succederà dei ragazzi, dei giovani che stanno seguendo questo corso?». E’ una domanda vera che voi stessi dovete porvi. Diversamente tutto potrebbe ridursi ad una liturgia che non ci cambia. E’ per questo che abbiamo deciso di fare oggi una pausa nella trattazione dei temi: perché possiate. riflettere su quanto sta accadendo in voi 3.
E ancora: «Provate ad affezionarvi a questi incontri del sabato, facendoli diventare qualcosa di irrinunciabile. Se non si fa così, tutto resta aleatorio, in balia del gusto personale. Non possiamo lasciarci determinare dal nostro gusto, dalle nostre voglie; dobbiamo decidere facendo credito ad un’affezione, che non è la voglia, ma tenere a qualcosa più che a tutto il resto» (da La fedeltà agli incontri, 21/IX/1991). verso i mass-media, che hanno il potere di far pensare la gente allo stesso modo, di imbrogliare il cittadino. Noi invece siamo chiamati ad una vita diversa: la conversione tocca questo punto della nostra persona, non è nella esteriorità del nostro comportamento, che pure, comunque, cambierà; ma solo perché ad un certo punto uno comincia a sentire il modo precedente dì comportarsi incompatibile con quello che è lui.
Questi incontri, quindi, devono diventare momenti di conversione, non solo momenti di ascolto. E questo lo diceva già Gesù alla gente che gli andava dietro da mesi, mentre lui predicava. E’ stato per questo che un giorno ha cominciato a narrare una parabola: «Il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte dei seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c’era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi intenda». (Mt 13)
E’ proprio lo stesso discorso che vi facevo prima: il Signore sentiva che non potevano celebrare delle liturgie di massa, che doveva avvenire un cambiamento nella gente, che la sua parola andava a vuoto per molta gente, oppure attecchiva un po’, ma poi appena sciolta l’assemblea, la massa che si riuniva con lui, ognuno rientrava nella logica dei mondo. Il mondo c’è sempre stato, infatti.
Non è solo la modernità che è contro la fede cristiana: il mondo è un modo di vivere, di agire, di organizzarsi, di strutturare la vita sociale e personale, incompatibile con la natura della nostra persona.
E questo c’è sempre stato; come ci sono sempre stati dei generosi che hanno aderito, che hanno tenuto duro per un po’, ma poi si sono lasciati progressivamente riassorbire dentro la quotidianità del mondo.
«Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta». Questo non dipende più da noi: è la misura di grazia che il Signore ci darà. E guardate che non è una parabola che dobbiamo ascoltare, ma una parabola che dobbiamo verificare dentro di noi, perché altrimenti sprechiamo la Parola di Dio, la sua grazia, la sua presenza, la sua vicinanza. Sarebbe profondamente triste se non riuscissimo a lasciarci invadere dalla Parola del Signore che ci chiama alla conversione. Ma come si fa a non sprecare? E’ certo che non cambiamo così, senza un nostro lavoro. Il lavoro primo, più importante, che precede tutto questo, è quello di cambiare la nostra persona, di diventare creature nuove, quello della nostra conversione intesa come nascita di un orientamento diverso, per cui uno è diverso dentro il suo cuore e quando parla non fa i discorsi che ha imparato a memoria, ma dice quello che sente, dice quello che lo determina, dice il suo modo di essere. Se diventiamo ideologici è finita, perché l’ideologia è un discorso che prescinde da quello che uno vive, è un progetto di vita per gli altri. Possiamo essere ideologici anche noi, non solo i borghesi che hanno messo su il comunismo. Possiamo anche noi fare discorsi cristiani, che però non escono dal nostro cuore, ma sono cose che abbiamo imparato e le diciamo perché ci siamo schierati da una parte. Dobbiamo dire, invece, quello che noi siamo, che noi sentiamo: la parola deve venire fuori dal nostro cuore, come le parole di amore che diciamo, che escono dal nostro cuore. Quello che diciamo all’altro deve uscire così, come espressione di un contenuto che ci siamo acquisiti con un lavoro.
Non basta venire a questi incontri. Il venire qui è l’inizio, il presupposto: poi tornando a casa dovete ripensare un po’ a cosa è avvenuto in voi, venendo qui, ascoltando. Dobbiamo saper percepire queste cose nella nostra vita, se vogliamo essere persone profonde, non superficiali; persone che lavorano su se stesse con determinazione. Dovete saper percepire quello che è avvenuto, che è passato dentro la vostra vita, il vostro cuore. Il discorso dell’ultima volta sulla confessione, ad esempio, in che modo vi ha toccati?
Non dico andare tutti a confessarvi, ma almeno pensare un po’ a quello che è stato finora il vostro modo di confessarvi! Vi siete almeno posti la domanda: «Cosa vuol dire per me confessarmi?»
Il “terreno buono” è proprio questo «cosa vuoi dire per me?» Se uno si pone questa domanda il suo cuore è il terreno buono dove nasce il cento o il sessanta o il trenta, dove nasce qualcosa di nuovo. L’esperienza cristiana (il termine “esperienza” indica quello che uno vive nella sua esistenza: quando di uno si dice che ha una grande esperienza, si vuol dire che facendo delle cose, queste sono diventate parte della sua vita.) vuol dire che la fede deve essere veramente parte della nostra vita, deve essere ciò. da cui noi ricaviamo la forza per vivere. L’esperienza cristiana significa ricavare la nostra vita non dalla società e neanche da quello che ci possono dire la maggior parte dei nostri genitori. E “ricavare la vita” vuol dire che uno vive con dentro qualche cosa che lo riempie, che è suo: la personalità è questa, non è l’essere violenti o stravaganti. La personalità è la capacità di ricavare la vita da una consistenza, da quel punto di appoggio di cui parlava Archimede:
«Datemi un punto di appoggio per la leva e io vi alzo la terra». La fede è la leva della nostra esistenza, è il modo diverso di vedere il nostro destino, i nostri rapporti, la nostra società, tutto: il modo “diverso”, illuminato dalla Rivelazione, dalla conoscenza che abbiamo dei mistero di Dio, del mistero della nostra persona. Perché avvenga tutto questo, però, ci vuole un lavoro, una scuola, la catechesi appunto, che è la scuola della fede, una scuola non fatta solo per apprendere intellettualmente, ma per verificare l’impatto che quello che impariamo ha sulla nostra coscienza, sulla coscienza che abbiamo di noi stessi, e perciò la coscienza che abbiamo degli altri e della vita. La personalità sta nella consapevolezza che abbiamo dei nostro essere cristiani. L’esperienza cristiana è questa; e il lavoro più importante che dobbiamo fare nella vita è il lavoro sulla nostra persona: possiamo avere tutto, ma se non abbiamo in mano noi stessi ci perdiamo, la nostra persona si perde. E questo lavoro dobbiamo cominciare a farlo oggi e non domani. La tentazione più grande,’ infatti, è sempre quella di rimandare; ma uno deve essere se stesso oggi.
E se poi è una scuola, cioè un lavoro, c’è anche un impegno, cioè un metodo. Non illudetevi: crescerete solo se diventate obbedienti ad un metodo di vita cristiana; perché ci vuole sempre un metodo per realizzare qualcosa; non c’è improvvisazione. Se uno non vive la fede, non può improvvisarla alla fine della vita! Una volta si parla-va della “perseveranza cristiana” , e in ogni caso la prima cosa è la fedeltà alle persone che abbiamo incontrato: non potete più considerarvi persone indifferenti fra di voi, estranee, che si trovano per caso e poi basta, altrimenti non nasce la Chiesa. Deve nascere, invece, una comunione fra di voi, una solidarietà fra di voi: è qui che dobbiamo rompere questa resistenza all’abbandono ad una compagnia.
Dal momento che ci siamo incontrati, non possiamo più fare come se non ci fossimo incontrati, perché il Signore ci ha donati gli uni agli altri, anche se è difficile accoglierci per il fatto che il Signore ci ha chiamati tutti assieme: qui c’è la resistenza del mondo, che ha degli slanci di generosità, sì, ma tutto si ferma lì. E questo non basta per i cristiani, per noi: deve nascere la Chiesa! E la Chiesa nasce dal fatto che delle persone capiscono questo che ho detto.
Formare la Chiesa, far nascere questa realtà umana e sociale e profondamente spirituale che è la Chiesa, è la nostra conversione. Con questo uno cambia ed esce dal vortice dei mondo in cui si trova e che lo trascina lo e domina. Il metodo cristiano per prima cosa è questo: la fedeltà all’Incontro che abbiamo fatto negli incontri che facciamo. Questa è la comunione dei santi, dei salvati, cioè. Perché siamo già salvi: dobbiamo solo prenderne coscienza. È importante la fedeltà, però; altrimenti non nascerà mai la Chiesa: nascerà la struttura, nascerà l’organizzazione. Le parrocchie sopravvivono anche se non ci sono cristiani. La struttura sopravvive. Ma noi non siamo una struttura: il cuore della Chiesa si gioca tra di noi.
Questa fedeltà, poi, si traduce in incontri di verifica tra di voi: perché dovete aiutarvi fra di voi a verificare il vostro cammino cristiano. Se non c’è il prete non importa: siete voi che dovete incontrarvi per verificare il vostro cammino, perché aiutarvi a diventare cristiani è il problema da risolvere assieme.
Dovete quindi incontrarvi fra di voi tra una lezione e l’altra, per riprendere quello che avete sentito, che avete scritto, che vi è stato inviato, per cercare di fare entrare tutto questo dentro la vostra vita e la vostra persona. E dovete farlo assieme. Questo cambia la conversazione fra di voi: non è più una conversazione mondana, una conversazione da cooperativa. La gente fa certi discorsi di una inconsistenza, di una meschinità di una immoralità da far spavento! Nessuno ha il coraggio di parlare di sé, della propria vita, dei problemi veri della vita. Certo: oggi c’è la disoccupazione, che è un problema vero; ma è il modo di viverlo che conta, perché uno finisce con l’abbandonarsi alla disperazione più o meno grande per la disoccupazione, in balia di un fatto che lo determina. Questo non è umano: il cristiano dovrebbe avere in mano lui la situazione! Anche il fatto di essere disoccupato. E’ vero: un padre di famiglia che è disoccupato si sente profondamente umiliato; ma, a partire dalla fede che gli permette di leggere la sua situazione, dovrebbe arrivare a tenerla in mano, capendo che quella situazione gli domanda di essere nella vita in modo diverso.
Insomma: dovete aiutarvi a vivere le situazioni, a dare un giudizio su di esse; diventare adulti, iniziare, cioè, ad avere un pensiero vostro; capire che quello che vi sto dicendo potete dirlo voi: ma perché lo sentite voi, non a memoria e per pura ripetizione. È necessario che diventia-te cristiani adulti, che ragionano in modo diverso dal mondo e ne sono consapevoli. Ma, ripeto, questo implica un lavoro su di sé, un lavoro da intraprendere con perseveranza, non si può improvvisare.
Il mondo parla di coerenza, mentre noi siamo e saremo sempre incoerenti, ma la cosa determinate è essere fedeli, perché il Signore è fedele con noi. È molto di più Lui alla nostra persona di quanto noi possiamo esserlo con Lui: in ogni caso. È questo il motivo per cui dobbiamo cercare di essergli fedeli: perché Lui lo è con noi. E ci risiamo col matrimonio che è immagine di tutta l’umanità. Il matrimonio vive di fedeltà! Il marito e la moglie sono chiamati alla fedeltà reciproca: non moralisticamente, ma per gratitudine a Dio di avergli fatto incontrare quella persona.
Quando questo avviene vuol dire che ci si è sposati bene.
Il rapporto tra di voi, allora, deve essere un rapporto di aiuto ad essere cristiani, a convertirvi, a far sì che quello che sentite vi entri nel cuore riempiendovelo di quella gioia, di quel calore che corrisponde al vostro bisogno profondo.
Quando si comincia un rapporto vero lo si sente:
attraverso tutte le forme; anche attraverso forme sbagliate, primitive, direi addirittura tribali. Sentiamo, ad un certo punto, che la Parola di Dio dà la risposta al bisogno più profondo di -vivere: una risposta non istintiva, ma su misura di quel bisogno spirituale più grande. Questo significa che l’esperienza cristiana è la risposta al nostro bisogno più reale. Qui è in gioco la nostra realtà: o siamo veri o non siamo veri! Se bariamo con noi stessi non succede niente: dobbiamo essere veri con noi stessi. Lo stesso sesso non è il primo bisogno: l’istintività è ancora al di sotto dei bisogno più vero dell’uomo, che è appunto quel-lo che dobbiamo scoprire. Dopo anche il sesso cambia.
In conclusione:
– aiutarvi a verificare la verità che vi è stata consegnata;
– avere una grande carità fra di voi;
– non lasciare le persone; avere invece un’attenzione grande e, quando qualcuno non comprende l’avventura che stiamo vivendo, occorre aiutarlo;
– trovarvi a pre g a re con una certa frequenza e regolarità.
Insomma, occorre un minimo di struttura. Se non vi date una struttura finite col non combinare niente, perché non trovate mai il tempo di compiere ciò che siete proposti. Occorre invece una perseverante fedeltà a momenti precisi: questo vale anche per la preghiera, che altrimenti finisce sempre con lo scomparire o con l’essere messa in coda a tutto quello che c’è da fare.
Il peccato sta nel non essere determinati nel lavoro che vi porta ad acquisire una personalità. Decidete di diventare veri in questo per prendere coscienza di quale avvenimento di grazia sta accadendo in voi. Il cristianesimo è un “avvenimento”: è accaduto che Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo. E questo fatto dobbiamo assumerlo in noi, come un fatto sconvolgente il pensiero del mondo e che genera qualcosa di diverso nella nostra vita.
3 Il Vescovo insisteva molto nel suo metodo educativo con i ragazzi di ACR sulla fedeltà all’incontro fatto con gli amici di ACR; fedeltà che si concretizzava nei momenti di formazione che si tenevano regolarmente al sabato.«Questa presenza concreta si realizza anche nei nostri incontri. Voi vi siete incontrati perché il Signore lo ha voluto ed ora dovete capire che crescerete nella fede solo se rimarrete uniti tra voi. Nella Chiesa sì può scegliere un’altra compagnia, ma è essenziale trovarne una, perché la Chiesa è essenzialmente la compagnia, che nasce tra le persone che si sono incontrate concretamente e credono in Gesù Cristo. Questo può realizzarsi in tante piccole realtà concrete, come la nostra e dentro una situazione precisa come quella in cui ci troviamo in questo momento. (…). Se non saremo fedeli all’amicizia e alla comunione reciproca, generate da questi Il testo diceva: «Fa’ che la tua Parola e il tuo Corpo facciano nascere in noi creature nuove e ci ringiovaniscano continuamente». Se questo non avviene, è ultimamente peccato. E deve poi avvenire adesso; non dobbiamo, non possiamo rinviare al domani l’occasione più grande. La vita vale oggi e dobbiamo viverla intensamente oggi, non quando saremo più grandi; perché anche allora non lo faremo, se non lo abbiamo fatto oggi. Non ci convertiremo domani, se non è iniziato oggi il cambiamento che deve avvenire nella nostra persona. Convertirsi vuol dire cambiare qualche cosa dentro di noi, dare inizio ad un orientamento diverso della nostra persona: dare inizio ad un orientamento, non diventare subito più bravi.La conversione è qualche cosa di molto più profondo, che prescinde dalla capacità di diventare bravi subito: magari non lo saremo mai! Occorre però cominciare a orientarsi nella vita in modo diverso rispetto alle direttive del mondo: dobbiamo diventare “creature nuove”, che non pensano, non agiscono, non sperano, non amano, non guardano il futuro o il presente, come il mondo. È allora che c’è una novità di vita, altrimenti c’è l’abitudine, scompariamo dentro l’anonimato che il mondo ci domanda di praticare perché così va bene ai potenti, a quelli che sono più forti di noi, che sfruttano l’opinione pubblica, la gente, attraincontri di formazione, andremo dispersi».(da La fedeltà agli incontri, 21/IX/1991)