Quinta lettera 3 novembre 1987
Carissimi fratelli e sorelle nel Signore,
È successo esattamente quello che uno poteva prevedere. Quando ieri sera i “cursores” (cioè i postini) hanno distribuito in aula sinodale il fascicoletto delle 54 proposte (le “propositiones”) definitive, elaborate dal Sinodo per il Papa, si è sentito un grande fruscio di pagine. Nessuno prestava attenzione al relatore del Sinodo, il Cardinale
Hyacinthe Thiandoum, Arcivescovo di Dakar, il quale, stravolto dalle fatiche notturne, ma con il suo grande zucchetto rosso, che troneggiava sulla sua testa nera, più rosso che mai, si sforzava di leggere in latino i criteri adottati dalla Commissione speciale nel passare al vaglio i 900 emendamenti inoltrati il giorno prima dai Vescovi. La sua voce passava sopra la testa di tutti i Padri sinodali, febbrilmente protesi a cercare nel fascicoletto l’esito delle proprie proposte di emendamento (i così detti “modi”). Il Papa si guardava in giro divertito, come un maestro quando vede tutta la sua classe silenziosa e china sul problema di aritmetica appena distribuito.
Durante tutto il mese una cosa è risultata chiara. Quando il Papa era presente in Sinodo (quasi sempre, tra un’udienza e l’altra o la firma di qualche documento importante fattogli scivolare sulla scrivania dall’impassibile Cardinale Casaroli, Segretario di Stato); quando il Papa, dicevo, era presente nell’aula, disposta ad anfiteatro, l’attenzione di tutti convergeva verso il centro ed era come se diventasse tangibile l’unità collegiale. In assenza del Papa, l’aula assumeva subito l’aria meno composta di un parlamento. I Padri si guardavano tra di loro (non in cagnesco come nelle assemblee degli azionisti, ma con grandi sorrisi di riconoscimento), senza prendere troppo sul serio il Cardinale o il Patriarca, presidenti di turno. Questo fenomeno è di natura teologica. L’unità tra i
Vescovi (la collegialità) non nasce dall’unità dei Vescovi tra di loro, ma dal fatto che tutti i Vescovi riconoscono il Papa come punto di riferimento comune. Mentre si aspettava con impazienza l’arrivo dei “cursores” dalla Tipografia Vaticana, in ritardo ormai di un’ora sulla cena, il Cardinale Ivan Lubachivski, Arcivescovo Maggiore degli Ucraini (spedito evidentemente in esilio), ha chiesto venia al Papa per raccontare due barzellette in latino su Gorbaciov. Sono convinto che i Vescovi, mentre ridevano, pensavano però al ferro da stiro, che, come tutti sanno, è uno strumento a doppio taglio: può essere usato per appiattire una tovaglia, oppure per mettere in forma un vestito nuovo.
Così è stato per il ferro da stiro usato dalla Commissione speciale (composta dai Relatori dei “circuli minores” e
dai periti), incaricata di spulciare gli emendamenti fatti alla prima edizione delle 54 “propositiones”. Alcuni emendamenti sono usciti appiattiti, altri invece messi in piega a dovere. Anzi, un’intera proposta (il n. 39) era addirittura scomparsa dal fascicoletto, bruciata dal ferro da stiro. Proponeva il tema del prossimo Sinodo, e la commissione l’aveva ritenuta estranea al contesto.
Tra le proposte più importanti schiacciate dal ferro da stiro, c’era quella sui ministeri dei laici. Nel circolo minore di lingua italiana, cui partecipavano altri 15 Padri non italiani, ero stato incaricato di preparare, per tutti, una proposta unica sui ministeri. Nessuno aveva voglia di farlo, perché bisognava girare in tutti gli altri “circuli minores” a sentire come andavano le cose. Fu allora che mi accorsi delle insidie inerenti al tema e della confusione ancora esistente in materia. Mi è capitato, per esempio, di imbattermi in un Vescovo canadese, sicuro di torn a re nel Québec con in tasca le diaconesse. Il risultato finale fu che la Commissione, stiracchiata da tutte le parti, ha pensato bene di togliersi d’impiccio passando la patata bollente al Papa.
Il Sinodo ha così proposto al Papa di provvedere lui stesso a rivedere il celebre Motu Proprio, che Papa Paolo VI, di sua iniziativa, negli anni ‘70, aveva emanato sui ministeri (Ministeria quaedam). Aveva fatto un bel passo avanti, Papa Paolo VI. Oltre a sopprimere tre ordini minori antichissimi, cioè l’ostiariato (con la funzione di portinaio ecclesiastico), l’esorcistato (per malefici minori, non proprio per quelli del demonio, perché per combatterlo ci vuole ben più di un semplice seminarista) e il suddiaconato, papa Montini aveva aperto anche ai laici, non candidati al sacerdozio, i due ministeri da lui non soppressi, cioè il lettorato e l’accolitato.
Tuttavia, da essi aveva ancora escluso la donna. Per via di una lunga serie di sottointerpretazioni, fatte dai più zelanti, si è giunti così alla conclusione che anche le chierichette erano proibite. In realtà le chierichette non sono, né “lettrici”, né “accolite”, perché i chierichetti e le chierichette non ricevono nessun ministero permanente, come si addice invece agli adulti. Sono così piccoli che hanno solo da imparare! Insomma, se è già troppo dire che in aula sinodale delle chierichette hanno parlato sì e no due vescovi, i giornali del giorno dopo hanno dedicato titoli cubitali alla questione, come se i Vescovi mangiassero i bambini. Calunnia evidente, per altro già largamente diffusa nel primo secolo, dal popolino romano, contro i cristiani delle catacombe, così come – salvo errore – riferisce Minucio Felice nel suo dialogo Octavius.
La stampa ha i suoi problemi. Se volete un altro esempio, vi porto quello dei giornali di ieri mattina, che stro mbazzavano con titoli in gigantografia «Lefebvre sì, donne no». Ora, il Sinodo non ha per nulla chiuso le porte ai ministeri delle donne e, su Lefebvre, non ha proprio deciso nulla. C’è stata solo una comunicazione del Cardinale Ratzinger che, quando parla, è come se tutti sapessero che ha ragione (anche per chi non vuole dargliela vinta). Lefebv re è venuto a Roma il 18 ottobre ed ha accettato un Visitatore Apostolico, che il Papa ha nominato nella persona del Cardinale Gagnon (canadese anche lui, ma in forze alla S. Sede). Nessuna decisione, solo una comunicazione e prudentissime verifiche. Il problema, comunque, è che la Chiesa, per un’eventuale riconciliazione, deve guardare a Lefebvre almeno con la stessa apertura di cuore con la quale deve guardare ai cristiani separati e ai non credenti.
E assodato che i giornalisti hanno i loro problemi. Questa volta hanno dovuto passare quasi due settimane a secco, aspettando come segugi affamati i Vescovi che uscivano dai cancelli del Vaticano per raccogliere qualche briciola caduta dalla mensa del ricco Epulone. Se in quei momenti ti scappa una parola imprudente, sei finito. Ti fanno dire quello che non hai detto; se cerchi di portare ragioni, non le vogliono sentire e credono di sapere che esistono macchinazioni incredibili; se ti considerano di destra e fai una piccola apertura, prevedono la palingenesi universale, cioè la trasformazione totale della Chiesa; se pensano che sei di sinistra e risulti troppo prudente, è perché hai preso una botta sulla testa dal Papa, e così via.
Ma il problema va visto anche dalla parte del ricco Epulone, che lascia cadere solo briciole e che secondo il Vangelo è giù a bruciare con una sete d’inferno. Non che si voglia dire che tutti i giornalisti andranno in paradiso; di certo si sa solo che in paradiso per intanto ci sta S. Francesco di Sales, loro patrono. Si fa per dire che, anche questa volta, c’è stata forse troppa paura di esporre i Sinodo alle pressioni della cosiddetta opinione pubblica, spesso gonfiata ad arte dai mass media. Dovremmo liberarci da questa paura. Non nel senso che bisogna dire tutto a tutti, in ogni circostanza, ma nel senso che uno deve essere forte a sufficienza per non lasciarsi troppo condizionare. Se poi tutti assieme si è 250 vescovi, non vedo proprio da chi bisognerebbe lasciarsi impressionare. Se durante i lavori dei “circuli minores” la sala stampa avesse lasciato cadere qualche briciola in più, tutti i giorni e regolarmente, per riferire telegraficamente sui temi trattati, gli addetti alla stampa avrebbero perlomeno avuto un motivo per esser più buoni (non nel senso di migliore, perché, oltre ad essere una scorrettezza grammaticale, non sarebbe sempre possibile). Invece è stato il blac-out totale di notizie ufficiali, e così ne sono successe un po’ di tutti i colori.
Era inevitabile che qualcuno lasciasse scappare la prima edizione delle “propositiones”. Non pensate subito a qualche Vescovo americano, che con la stampa sono più disinvolti di noi; pensate anche che, attorno al Sinodo, si muove un centinaio di altre persone, per tutti i lavori, come per es. quello di battere a macchina. Il fatto è che poche ore dopo la discussione in aula sinodale, i soliti furbi che circolano attorno ai chioschi della piazza S. Pietro e alla sala stampa, alla caccia di turisti, vendevano ai giornalisti fotocopie al dettaglio delle singole “propositiones”, per 3.000 lire l’una. Certo, anche per il Papa, come per tutti, non è piacevole lavorare con le finestre aperte e con tutti che guardano dentro, ma di paura di essere condizionato (questo è stato il motivo del black- out deciso da qualcuno), questo papa non dovrebbe proprio averne più di quel tanto.
Ma ritorniamo ai ministeri. Anche se il Sinodo ha girato la patata bollente al papa, non ha mancato tuttavia di stabilire almeno un principio importante. Quello per cui si vogliono introdurre nuovi ministeri (di catechista, di assistente pastorale, ecc.) conferibili anche alle donne. Non bisognerebbe introdurne troppi, per non squalificare tutti quei laici che fanno e possono fare mille cose (catechesi compresa) in forza del loro battesimo, della cresima e della fede che hanno, senza bisogno di ricevere nessun mandato conferito con solenni cerimonie liturgiche, in modo stabile, o addirittura a vita. Oltre che il pericolo della svalutazione, acuto anche in questo settore come in quello dei carismi, bisogna fare attenzione a non clericalizzare troppo i laici. Anzi, su questo punto i Padri sinodali sono stati categorici: non clericalizziamo i laici, non facciamoli diventare sacristi di lusso, conferendo loro troppi ministeri. I laici devono lavorare prima di tutto per quello che sono, nelle strutture del mondo e della società e lì portare la loro fede, se veramente ce l’hanno.
Questo è il vero problema.
Infatti, tra le “propositiones” uscite da sotto il ferro da stiro della Commissione messe bene in piega, assieme a tante altre proposte, come quella sui carismi (riconosciuti come un dato imprescindibile della vita della Chiesa), quella sulla parrocchia, che deve diventare molto più di quanto non lo sia, scuola di fede per tutti, (ma di cui si dice anche che è solo una struttura organizzativa di una realtà teologica previa e più importante, cioè della comunità eucaristica che, in quanto tale, esiste e vale anche se non è celebrata in parrocchia); accanto a queste proposizioni ed altre importantissime sulla politica, la cultura, ecc., è uscita bene anche la proposta sull’indole secolare dei laici. Più che una dimensione semplicemente sociologica del laico, è stata finalmente riconosciuta dal Sinodo come una dimensione a carattere teologico.
Dopo i primi 10 giorni del Sinodo, durante i quali tutti i Vescovi erano intervenuti in fila, ciascuno per 8 minuti, tirava aria fredda: pareva che tutti o quasi avessero paura dei movimenti ecclesiali. Poi, a poco a poco, il clima è diventato più temperato. Tutti hanno capito che il Concilio Vaticano II aveva garantito la libertà di associazione dei laici, diritto codificato a tutte lettere dal can. 215. Si è capito che erano venuti a Roma per promuovere i laici, non per soffocarli. Assieme a questa, si è capito anche che i carismi appartengono all’essenza della natura stessa della Chiesa; che il diritto dei vescovi di procedere al discernimento della loro autenticità, non è diverso né più impellente di quello di procedere al discernimento dell’autenticità della pastorale compiuta all’interno delle strutture istituzionali. Da ultimo, che bisogna distinguere, nel discernimento dei movimenti, tra la loro autenticità in fatto di ortodossia e disciplina ecclesiale e la libertà che godono i loro membri di impegnarsi a livello culturale, sociale e politico. Questa libertà non è diversa da quella che il Sinodo ha ribadito, senza colpo ferire, per tutti i laici.
Tra i molti risultati del Sinodo, uno è senza dubbio quello di aver dato la consacrazione ufficiale dei movimenti ecclesiali, riconoscendoli come realtà, parificati a tutte le altre forze associative già esistenti. Anzi, il Sinodo ha detto che i movimenti a carattere internazionale contribuiscono molto a creare la coscienza dell’unità della Chiesa universale. Adesso non vuoI dire che tutti possono mettersi a fare quello che vogliono. VuoI dire che tutti devono guardarsi in faccia, chi lavora nei movimenti e chi nelle strutture istituzionali, per compiere assieme l’opera dell’evangelizzazione, senza pregiudizi reciproci. Quando furono lette le due “propositiones” definitive riguardanti i movimenti, Chiara Lubich (quella della permanente d’argento) si è chinata verso di me e mi ha sussurrato: «Vedrà, Eccellenza, tra dieci anni nella Chiesa ci sarà una grande primavera».
Cari fedeli, questa è l’ultima lettera dal Sinodo. E’ stata per tutti i Vescovi un’esperienza grandissima. Alcuni, in aula non hanno esitato ad affermare che questo Sinodo sui laici sarebbe stato il più importante di tutti i sei precedenti. Non so ancora se siamo riusciti a dire cose trascendentali.
Il Messaggio che abbiamo mandato a tutti i fedeli, vescovi, preti, religiosi e laici, uomini e donne, almeno nella sua prima parte potrebbe anche non lasciarlo intravedere, perché non si voleva anticipare troppo quello che dirà il Papa nella sua Esortazione futura. Il Papa, comunque, ha detto che non esproprierà il Sinodo dei suoi diritti d’autore. Ma se leggete bene la seconda parte del Messaggio, potete sentire tutta la carica promozionale che questo Sinodo ha dentro di sé. Non è un caso che il Sinodo sui laici si sia rivolto con il suo Messaggio non solo ai laici, ma a tutti i fedeli, indistintamente, ai Vescovi, ai preti, ai religiosi e alle religiose, per sottolineare che il compito dell’evangelizzazione del mondo è affidato a tutti quanti “in solidum”, cioè a tutti assieme, perché tutti assieme formiamo un unico soggetto, la Chiesa. Sono contento di avervi scritto queste cinque lettere usando un genere letterario un po’ insolito, che non è certo quello classico di una Lettera Pastorale, ma che in fondo è altrettanto serio.
Ringrazio tutti quelli che hanno pregato per i Vescovi e vi mando anche la mia benedizione. Desidero tuttavia aggiungere un’ultima cosa. Alla fine dei lavori, si è discusso molto sul tema del prossimo Sinodo. Una delle questioni emerse tra le più importanti, è quella dei mezzi della comunicazione sociale. Magari in futuro ci sarà il Sinodo sui mass media. Sento dire fino a Roma che la campagna abbonamenti del GdP “tira” molto bene. Vi esorto a sostenere personalmente e assieme ad altri il nostro giornale, con tutte le vostre forze e con tutta la vostra generosità. Grazie.