Terza lettera. Roma, 20 ottobre 1987
Cari fratelli e sorelle in Cristo, l’assemblea sinodale non è frequentata solo da Vescovi, Arcivescovi e Cardinali, ma anche da fondatori di movimenti ecclesiali, laici e preti. All’inizio tutti li guardavano con curiosità, mista a venerazione, come se appartenessero a una specie diversa. Persone in carne ed ossa, portatrici di un carisma, che evidentemente non si vede. Il carisma é una particolare presenza dello Spirito Santo che dona ai fondatori una particolare genialità nella fede, assolutamente non comune.
C’è chi sostiene che anche noi siamo tutti dei carismatici,ma non è vero. È vero che tutti i cristiani ricevono i doni
dello Spirito Santo, nel Battesimo, nella Cresima e negli altri Sacramenti (doni di sapienza, di intelletto, consiglio,
fortezza, di scienza, di pietà e di timore di Dio), ma il carisma è un’altra cosa. E’ una straordinaria capacità di comunicare con gli altri, a livello della fede, con gesti e parole che risvegliano immediatamente, nell’interlocutore attento, il desiderio di aderire con più entusiasmo a Cristo. Uno sente, tramite le parole dei carismatici, una particolare risonanza del desiderio di santità, che ha già dentro, e che lo Spirito Santo gli ha posto come seme nel cuore ilgiorno del battesimo; è disposto perciò a lasciarsi guidare dall’annuncio della fede messo in atto da un fondatore.
Evidentemente la cosa non è automatica, bisogna essere umili e accettare di seguire. Dovremmo farlo anche con il nostro parroco. E’ tuttavia un fatto, per esempio, che quando l’attuale Papa parla nei suoi viaggi provoca una risonanza particolare nel cuore della gente. Una volta era quasi più la sua persona che faceva impressione, oggi è sempre di più il suo messaggio in quanto tale.
Di veri e propri fondatori di movimenti ecclesiali al Sinodo ce ne sono quattro, e in tutti noi era viva l’attesa di sentirli parlare. Nel plenum hanno parlato solo in due: Chiara Lubich, che ha fondato i Focolari 40 anni fa, e don Giussani, un po’ impacciato ormai nella sottana da monsignore, fondatore di Comunione e Liberazione, 30 anni or sono.
Chiara Lubich è una donna fine ed esile con i capelli corti, fissati da una permanente in argento, sempre uguale.
È riservata. Ci vuole un po’ di tempo prima di riuscire a scambiare qualche parola, anche se è seduta proprio alle mie spalle. La sua voce è sottile, ferma, senza alcuna esitazione. Quando ha parlato, per dire, con quell’accento giusto, che il cristiano deve vivere la carità con tutti, tutti hanno capito perché è riuscita ad aggregare un milione di persone e perché 600 vescovi vanno a seguire i suoi ritiri spirituali.
È poi risuonata la voce roca, ma rispettosa, di don Giussani per spiegare, con il suo linguaggio esistenziale,
che l’evento cristiano è incontrabile, come ai tempi di Gesù con gli Apostoli, nell’impatto con una realtà di persone che cerca di vivere la fede in comune. Quando in seguito aggiunse che tutti, nelle nostre tribolazioni ecclesiali (da cui sono flagellati soprattutto i fondatori dei movimenti) troviamo l’ultima pace del cuore nel successore di San Pietro, tutta la sala si è voltata a guardarlo.
ll terzo fondatore è spagnolo, un laico. Tutti lo chiamano Kiko e nessuno sa che si chiama Kiko Argüello. Non
gliel’ho mai detto, ma assomiglia a certi santi spagnoli del ‘500. Viso asciutto, capelli e barba corti e ricci, camicia kaki a maniche rimboccate, cravattino di pelle. Non è stato scelto per parlare davanti a tutta l’assemblea sinodale e, a mio avviso, è sotto sotto un po’ deluso, perché la sua sarebbe stata una arringa tagliente come una spada; di quelle che fanno fremere lo spirito. Ha suscitato, infatti, in tutto il mondo un movimento di gente che va allo sbaraglio a predicare, provocando conversioni e un mare di vocazioni.
Il quarto è Jean Vanier, alto, dinoccolato; sembra tirato fuori da un dormitorio comune ed in effetti ha fondato l’ Arche. Dove mette in piedi le sue baracche, l’Arche diventa immediatamente un porto inesauribile di carità: il regno visibile e clamoroso dei miserabili che da soli, nei sobborghi delle grandi città, vivono nascosti, dormendo sotto i ponti, ignorati da tutti, ma che attorno a lui ridiventano persone.
Non è un caso che al Sinodo siano stati chiamati i fondatori viventi, assieme a decine e decine di Superiori generali di grandi Ordini e Congregazioni religiose, tutti suscitati, magari molti secoli fa, da chierici, laici o laiche diventati santi, perché un Sinodo come il nostro, che tenta di ridefinire lo statuto ecclesiale dei laici, sarebbe stato inevitabilmente percorso da una tensione di fondo.
Nella storia della Chiesa questa tensione è sempre emersa, ogni volta che è stato posto (come nella Riforma) il problema del rapporto tra i laici e i chierici. E’ la tensione esistente tra l’istituzione e il carisma, già presente nel Vangelo, quando Cristo polemizzava dicendo che la lettera uccide lo spirito.
Ma chi è il laico? Ecco la questione fondamentale. Il Concilio Vaticano II (per chi volesse andare a leggerne il testo, si tratta del n. 31 della Lumen gentium) aveva detto che il laico non deve essere definito negativamente, come se fosse solo quel fedele che non ha ricevuto l’ordine sacro, ma positivamente. Il laico è quel fedele che attraverso il battesimo appartiene a Cristo e partecipa alla sua missione di salvezza nel mondo. Non riceve da Cristo solo la salvezza a titolo personale, ma è chiamato anche a diventare, assieme a Cristo e con la forza dello Spirito Santo, protagonista della salvezza degli altri. In nome di Cristo e di tutta la Chiesa, deve annunziare agli altri la fede che ha ricevuto.
La fede è come la vita, ci è data per trasmetterla agli altri, non per tenerla egoisticamente per noi. A questo proposito, un Vescovo ha detto a tutta l’assemblea, colpendo visibilmente nel segno, che è una vergogna che i cristiani non abbiano più il coraggio mettere al mondo figli e che, se vogliamo salvare la dignità della donna, dobbiamo incoraggiarla ed aiutarla a ridiventare madre, perché nella maternità trova, più che in ogni altra cosa, la sua grandezza.
Ma il Concilio Vaticano II aveva aggiunto un’altra cosa, non meno importante, sui laici: che il laico si caratterizza,
rispetto ai preti e ai religiosi e religiose, per la sua «indole secolare». E qui sono incominciate le difficoltà. Quelle sulle quali il Sinodo sta chinandosi con la sapienza (che lo Spirito Santo dovrebbe darci), di tutti i Padri. Non è detto che la soluzione debba saltar fuori già questa volta, perché le questioni dottrinali hanno itinerari molto lunghi ed esigono un largo consenso.
C’è, infatti, chi dice che questa indole secolare, o secolarità (da non confondere però con il secolarismo o il laicismo), consiste nel puro fatto sociologico di vivere nel mondo. Il laico sarebbe il battezzato che vive nel mondo. Ma se si escludono le monache di clausura, tutti viviamo nel mondo, fino al collo. Dunque, non può essere così.
C’è perciò chi sostiene, e credo a giusta ragione, che la secolarità è qualche cosa di più profondo. Mentre i preti esercitano il ministero della predicazione e dei sacramenti e garantiscono l’unità della comunità dei cristiani, e mentre i religiosi vivono la fede, praticando i tre voti di verginità, di povertà (personale) e di obbedienza, i laici sono quei cristiani che devono vivere la fede assumendo le stesse condizioni naturali di vita di tutti gli uomini. Queste condizioni si cristallizzano nel matrimonio, nella proprietà dei beni e nella libertà di gestire la vita. Sono esattamente il contrario dei tre voti religiosi.
I laici vivono perciò il mondo dal di dentro e devono cercare di redimere con la fede, la speranza e la carità, le condizioni naturali di vita proprie al loro stato. Per questo i laici sono, nella Chiesa, quei fedeli che più degli altri (preti e religiosi) sono responsabili della trasformazione del mondo: della vita familiare, delle strutture economiche, sociali, politiche. Anche per loro il punto di riferimento è la fede, dalla quale devono sviluppare un giudizio sul modo di gestire la vita privata e sociale, a livello nazionale e mondiale.
Anche a questo proposito approfitto per dirvi che se qualcuno pensasse che la Dottrina sociale della Chiesa (quella delle grandi Encicliche sociali, per intenderci), sia superata, sbaglia. Dopo il Sinodo essa ridiventerà di grande attualità, perché tutti i Vescovi ne hanno parlato. E il grande manuale che insegna al cristiano (e lo dice soprattutto agli uomini politici) come tradurre in pratica i principi della fede nelle realtà sociali, economiche e politiche. Quelle realtà che i laici devono trasformare, affinché la loro eventuale fede privata non rimanga socialmente e politicamente lettera morta. In questo settore il laico è il primo responsabile e rappresentante di tutta la Chiesa di fronte al mondo.
Evidentemente, i voti o consigli evangelici, non li devono vivere solo i religiosi, ma anche i laici e i preti. Come atteggiamento di fondo, di distacco, di non egoismo e di non possessività nei confronti delle persone e delle cose.
Non per nulla anche i preti rinunciano al matrimonio, cui sono in realtà finalizzate sia la proprietà, sia la libertà di gestione della propria vita. La questione della «indole secolare» perciò non è una questione di lana caprina. Risolverla bene alla radice, senza pressappochismo, è il presupposto che permette ai fedeli laici (e a tutti gli altri) di capire fino in fondo le condizioni e le modalità esatte secondo cui devono vivere la loro fede nel mondo, per rendere presente in esso la Redenzione. Al cristiano laico spetta il compito primario di riscattare nel mondo il cattivo uso cui sono soggetti i tre rapporti fondamentali: uomo-donna; uomo-cose (con i suoi mille addentellati anche ecologici), uomo-società; che presuppone la libertà, così spesso sopraffatta da destra. o da sinistra, oppure sciupata perché confusa con il “fare quello che si vuole”, cioè l’istintivismo.
Sotto il problema della vera identità del fedele laico e del suo statuto teologico ed ecclesiologico, si agita l’altro problema, quello dei carismi. In questi ultimi decenni, infatti, sembra che ne siano stati investiti soprattutto i laici. I movimenti ecclesiali moderni sono tutti movimenti in cui predominano nettamente i laici.
Il problema è che i movimenti ecclesiali moderni (la cui origine carismatica non è messa in dubbio da nessuno), come quelli antichi, disturbano un po’ tutti, parroci, vescovi e cardinali, laici che non ne fanno parte, giornalisti, politici, sociologi, e chi più ne ha più ne metta. Si potrebbero definire tutte queste categorie (anche se un po’ impropriamente) come “istituzione”. L’istituzione è quel complesso di realtà, di strutture o di giudizi ritenuti acquisiti, fissi e dati per scontati, che di solito si sente minacciata dalla novità. Nella Chiesa sorge così la tensione tra l’istituzione e il carisma. Essa travaglia in profondità tutto il Sinodo. Ma di questo vi riferirò la prossima volta.