Lettera dal Sinodo dei Vescovi, Roma, 14 ottobre 1987
C’è voluto qualche giorno, prima che i Padri sinodali riuscissero a cantare i salmi in latino e gregoriano senza inceppare e stonare. Trenta anni fa in Seminario eravamo tutti specialisti, poi sono fiorite nuove melodie su testi in lingua vernacola accompagnabili anche al suono della chitarra. I salmi in latino dell’ora terza, che dà inizio ai lavori tutte le mattine, hanno però ora, in compenso, acquistato nel cuore di tutti i Padri un sapore di ben altro spessore, rispetto agli anni del Seminario. Ma chi oserebbe introdurre la chitarra nella solenne aula sinodale, stracolma di prelati in filettato e con lo zucchetto rosso o paonazzo sulla testa?
Il latino, che aveva ancora retto così bene durante tutto il Concilio Vaticano II, è oggi quasi scomparso dai dibattiti. Al di sopra di tutte le lingue moderne domina ormai l’inglese, ed è questo il vero segno del mutare dei tempi. Magari uno mette la cuffia della traduzione simultanea (che è ancora un mezzo massacro) solo per distrarsi e sorridere un po’, in mezzo ad argomenti che diventano in ogni caso solenni quando prendono la parola i Vescovi latino-americani con la loro cadenza dolce e straordinariamente declamatoria, ma il fatto è che parecchi Vescovi devono mettere la cuffia per essere sicuri di capire bene i confratelli tedeschi che parlano un elaboratissimo latino.
Questa prima settimana ha messo tutti a dura prova: 170 interventi di 8 minuti spaccati, infilati uno dopo l’altro,
e interrotti inesorabilmente quando sull’insegna compare lo stop, luminosissimo e beffardo. Siamo stati costretti ad immagazzinare informazioni su tutto il mondo,come se fossimo un computer. Molti Padri, infatti, hanno scelto, prima di iniziare la discussione vera e propria che incomincerà solo la settimana prossima, di informare sulla situazione delle loro Chiese.
Il primo sintomo della grande evoluzione in atto è il fatto che, parlando dei laici, tutti hanno. parlato della Chiesa. L’identificazione tra laici e Chiesa è già avvenuta, come una volta tra gerarchia e Chiesa, e se si trattasse solo di fare un’operazione promozionale del laicato, l’obiettivo del Sinodo sarebbe già stato raggiunto. Abbiamo visto così snodarsi un grande documentario, con migliaia di sequenze. Anzi, un Vescovo dell’ America Centrale ha perfino avuto l’idea da Guinness, primato nella storia dei Concili della Chiesa, di far vedere un filmato vero, con “campesinos” variopinti che cantavano e suonavano la chitarra. Così, per la porta di servizio, è entrato in aula anche questo strumento della musica religiosa moderna che qualche volta è anche sacra, tra l’iniziale sbigottimento del Papa (ma probabilmente ha fatto solo finta di non saperlo!). Più per il suo fegato, che per la bellezza del filmato,gli abbiamo battuto generosamente le mani.
Le situazioni in cui devono vivere i laici sono ben diverse nel mondo. La Chiesa nel Pakistan, che rappresenta 11% di una popolazione di 9 milioni di musulmani; quella in India, che deve sfidare una cultura filosofica e religiosa di altissimo livello; i Vescovi americani, giunti al Sinodo con sotto il braccio grosse inchieste Gallup fatte su campioni di centinaia di migliaia di laici delle loro diocesi; gli africani, che raccontano con linguaggio aneddotico la storia dell’evangelizzazione dei loro paesi, incominciata tra la metà e la fine del secolo scorso, ma portata avanti fino ad oggi da una rete fittissima di catechisti laici: gente che ha imparato le parabole del Vangelo e il catechismo a memoria, non sapendo né leggere né scrivere troppo bene; i Vescovi neri dell’ Africa del Sud, che riferiscono in un inglese da Oxford (quasi pari a quello del primate d’Inghilterra card. Hume) sulla spirale esplosiva dell’apartheid; i fedeli laici dei Paesi d’oltre cortina, che hanno pochissime Sante Messe cui partecipare, e per di più in latino, sono senza traduzione dei testi liturgici, possono dire solo il Rosario e qualche altra antica preghiera del catechismo, e malgrado tutto ciò hanno conservato intatta la fede, salvando la presenza della Chiesa anche nel mondo comunista, in attesa di una risurrezione.
In mezzo a queste e ad altre descrizioni sulla situazione della fede dei laici e della Chiesa, alcuni temi sono diventati subito ricorrenti, come per esempio quello della donna e quello dei giovani. Della donna hanno parlato tutti, con grande convinzione, ma anche con grande sensibilità. Aprire alla donna tutti gli spazi possibili perché possa diventare più presente e attiva nella comunità cristiana. Unanimità sull’opportunità e necessità di poterle conferire tutti quei ministeri e quelle responsabilità, come ai laici uomini, che non implicano il conferimento dell’Ordine. Qualche Padre sinodale ha anche suggerito di riesaminare la questione storica e dottrinale del diaconato della donna, per sapere se le diaconesse esistite in qualche Chiesa particolare dell’antichità avessero veramente ricevuto il primo grado del sacramento dell’Ordine e se la Chiesa di oggi non possa conferire loro il sacramento del diaconato. Per contro nessuno si è spinto fino a superare la soglia del sacerdozio. L’impressione diffusa è che nessuno lo pensi realmente e che, malgrado i pronunciamenti di certa teologia femminile e di certe suore “made in USA” che sfilano davanti al Papa con il cartellone e scandiscono magari qualche frase scioccante, il problema stia diventando sempre più quello di come promuovere la donna, con estrema coerenza,
socialmente ed ecclesiasticamente, senza farle mettere per forza la tuta da manovale o la tonaca del prete.
L’urgenza sta piuttosto nello scoprire la vera identità della donna, in sé già sufficientemente spremuta nella sua femminilità dalla società industrializzata; nello sviluppare una sua specificità nella Chiesa, senza farla diventare la bella o brutta copia dell’uomo sacerdote. Se è un errore clericalizzare i laici, quelli al maschile, lo sarebbe doppiamente farlo nei confronti di quelle al femminile. Potrebbe essere l’ultimo modo di espropriarle di se stesse e di sottometterle ad una nuova gerarchia che «perpetuerebbe l’abuso maschilista», come ha scritto recentemente. Una giornalista su un cosiddetto autorevole quotidiano italiano. Senza dire che un Sinodo dedicato ai laici andrebbe fuori tema se si attardasse a disquisire troppo sul sacerdozio delle donne, perché a questo punto cesserebbero anche loro di essere ancora laiche!
Il secondo tema emergente è quello dei giovani. A noi europei, che di bambini sulle strade ne vediamo ben
pochi, pare di essere in un altro pianeta, quando si sente dire che in moltissimi Paesi, quelli ritenuti meno civili, i
giovani fra i 15 e i 25 anni .sono il 40-50% della popolazione.Altro che AVS!
In questi Paesi ed in queste Chiese i giovani non sono lo sparuto drappello delle “pastorali giovanili” ma il vero soggetto della Nazione e della Chiesa. I giovani, certo, ma la signora Antoinette Prudence delle Isole Rodriguez, una maestra d’asilo, ha intrattenuto i Padri per quasi 40 minuti, infrangendo il muro di tutti gli stop, sui bambini piccoli, facendoci capire che sono anche loro Chiesa «à part entière». Poco è mancato che fosse venuta al Sinodo con la sua classe, per farceli vedere, questi bambini dai quali è una vita che si fa spintonare, e il Papa, anche lui, che ascolta tutto il tempo e non dice mai nulla, salvo qualche breve saluto iniziale (o qualche gesto fugace, semi-clandestino, di riconoscimento all’uno o all’altro vescovo), anche il Papa ha seguito tutto con grande attenzione e bonomia.
Per parlare dei laici tutte le salse sono buone. Un Vescovo del Centro-America (è presente anche il Card. Obando Bravo di Managua nel Nicaragua, che mi ha domandato gentilmente se la mia diocesi era difficile e a
cui non ho saputo rispondere perché pensavo alla sua), ha preso lo spunto dei laici per parlare del flagello dell’ AIDS, visto che sono loro i più colpiti! Un celeberrimo religioso americano, leader del movimento dei carismatici, che raccoglie la bellezza di 20 milioni di fedeli che pregano lo Spirito Santo come sanno fare loro, con grande entusiasmo, con il cuore e con le braccia, ha spezzato una grande lancia per sostenere la necessità di ritornare ad una pastorale per soli uomini. Secondo lui, che almeno l’America la deve pur conoscere, se riempiamo le chiese solo di donne scatta il riflesso della timidità dei maschi, che arrischiano di rimanere lontani. Un po’ come da noi, una volta, quando gli uomini stavano fuori sul sagrato a parlare della prossima fiera, fino alla fine della predica, perché quella era roba da donne.
Donna, giovani, laici. Certo, promozione di tutti, ma il Sinodo è ben lontano dal cedere a qualsiasi forma di demagogia. Tutti sono perfettamente coscienti del fatto che la prima promozione deve avvenire nel cuore stesso
degli interessati. Nella Chiesa può essere promosso solo chi crede e vive la sua fede profondamente, altrimenti la parola «laico» non dice proprio niente; purtroppo, di solito, dice solo persona tiepida o lontano dalla Chiesa. Il problema non è evidentemente quello di aumentare il numero dei laici e delle laiche in giro all’altare, nei Consigli
pastorali di tutti i gradi o nelle università a studiare teologia, bensì di convincere i laici, uomini e donne, (la folla più numerosa e anonima), che tocca a loro prima di tutto identificarsi con la Chiesa. Ammesso e concesso che
il clero (vescovi e preti) e i religiosi (frati e suore) vivano la fede e la diffondano, adesso è giunta l’ora dei laici. Tocca a loro credere ed essere testimoni della loro appartenenza a Cristo in tutti gli ambienti, dove solamente loro, in fondo, possono arrivare: nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, negli affari, in politica, nei centri dove nasce la cultura o la non cultura di un popolo.
I Pastori devono aiutarli con nuove strutture capillari per la nuova evangelizzazione, che tocchino tutta la diocesi,
le parrocchie, i gruppi, le confraternite, i movimenti. È in preparazione anche un Catechismo per tutta la Chiesa Cattolica voluto dal Sinodo straordinario del 1985, come tutti sanno, ma anche il problema fondamentale è che i laici promuovano se stessi, frequentando nuovamente la catechesi e riprendendo in mano il proprio destino di cristiani. Questo, della formazione dei laici è, in effetti, diventato il terzo tema emergente del Sinodo. Tutti gli interventi dei Vescovi la raccomandano, ma nessun Vescovo o parroco la può fare se i laici restano a casa a guardare la TV o se nel fine settimana vanno solo a spasso o se ai loro figli sanno fare in modo consumistico solo l’equitazione, il balletto, il tennis, l’hockey o il pianoforte, come se ne dipendesse la felicità della vita e il prestigio sociale. Il primo prestigio e la prima felicità della vita è quella di credere in Gesù Cristo. Accanto a questi temi si sono delineati anche due problemi, ai quali fino ad ora i Padri sinodali girano intorno senza riuscire a centrare con esattezza il nocciolo della questione: il problema della definizione vera e propria di che cosa sia un laico e quella del rapporto tra l’istituzione ecclesiale ed il carisma. Il laico è solo il fedele comune, quello che non ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale o non è andato in convento, oppure è qualche cosa di più? Perché il Concilio Vaticano II ha parlato della «indole secolare» come della loro caratteristica peculiare? Che cosa significa che il laico è il fedele che vive nel mondo? E’ solo un semplice dato sociologico o è qualche cosa di più profondo, cioè un fatto ecclesiologico? Anche sulla questione dei carismi, che sfocia oggi inevitabilmente nella questione dei movimenti ecclesiali e del loro rapporto coi piani pastorali delle diocesi e delle parrocchie, abbiamo assistito, fino ad ora, solo a qualche scaramuccia. Il Cardinale Lorscheider, brasiliano, ha aperto le ostilità con una mossa a sorpresa; altri grossi prelati stanno ancora amleticamente in silenzio, ma moltissimi Vescovi si sono dichiarati favorevolissimi ai Movimenti ecclesiali, anche se magari danno fastidio al tran tran di tutti i giorni e non si sa bene come inquadrarli.
E’ il carisma! Ed è sempre difficile inquadrare il carisma, come gli artisti ed i poeti. Ma di questi due problemi vi parlerò la prossima volta, nella certezza che il Sinodo riuscirà a schiarirsi le idee.