Lettera pastorale per la Quaresima 1993 Indirizzata a tutti i genitori
Cari genitori,
prima della fine dell’anno scolastico riceverete dalle Direzioni delle scuole, e per la prima volta anche dì quelle elementari, un formulario per l’iscrizione dei vostri figli all’insegnamento religioso. Un segno del mutare dei tempi.
Non era, infatti, così quando io andavo a scuola, e neppure quando ci andavate voi, venti o trent’anni più tardi.
1. L’ora di “catechismo”, una volta
Allora al catechismo scolastico assistevamo tutti obbligatoriamente, come per le altre materie. Pochissimi erano ì dispensati. Ai miei tempi, negli anni trenta e quaranta, praticamente solo qualche protestante-non tutti, peraltro – o i figli di quelle rare famiglie decisamente contrarie anche al catechismo.
Ma quando a scuola andavate voi, la situazione stava già cambiando. Sì diffondevano atteggiamenti di ribellione. contro i genitori e la società, e proprio la scuola era diventata il centro della contestazione. Nella lotta tra chi voleva conservarla com’era e chi voleva cambiarla, è crollata anche l’immagine dell’ora di religione.
Così, sono aumentate le dispense: chi era contro la religione nelle scuole perché la considerava, sia pure sottovoce, “oppio dei popoli”; chi credeva fosse giunto il momento opportuno per laicizzare ancora di più la scuola di Stato; chi, pur restando sul versante cristiano, pensava, per apparire anche lui moderno, che, per ì suoi figli, l’ora di religione non fosse più tanto importante.
Anche tra il clero non furono pochi quelli che si interrogarono sulla efficacia e l’opportunità del catechismo, nei ginnasi o nelle scuole medie.
In effetti, con i tempi, erano cambiate molte cose. Quando andavo a scuola, verso la fine degli anni trenta e durante la guerra, il mio catechista era un prete come quelli di una volta. Sì chiamava anche lui don Eugenio ed era arciprete; lasciava tutti a bocca aperta, soprattutto quando abilmente “tirava la presa” di tabacco, facendo scomparire la tabacchiera d’argento tra le pieghe della veste talare. con uno scatto.
Le famiglie modeste, come la mia, non avevano ancora la radio ci voleva poco per imparare il catechismo. Domande e risposte a memoria, alcuni episodi della storia sacra illustrata e le preghiere. che uno aveva già imparato a casa. La religione passava dai genitori ai figli. come la vita, con il conforto dell’autorità indiscussa del parroco, ascoltato da tutti, soprattutto se era uno importante come l’arciprete di Chiasso.
Tutto era ancora normale e dato per scontato, tant’è che anche della guerra e dei bombardieri della RAF che puntavano su Milano, si parlava come di una cosa giusta.
Poi è arrivata la generazione dei “baby-boomers”, la vostra, che si è inebriata, prima dei prodotti arrivati dall’America, poi. soprattutto nel mondo studentesco, delle parole uscite dalla bocca di Marcuse. Una generazione che ha sentito predicare la liberazione sessuale, che ha praticato il divorzio su larga scala, che ha incominciato a viaggiare in tutto il globo ed ha creduto, chi all’America e chi all’Unione Sovietica, come salvatori del nostro e del terzo mondo.
Una generazione che spesso si è accorta del Concilio Vaticano II solo per dire che anche la Chiesa stava cambiando “look”, perché aveva finalmente capito che tutto era diventato diverso e di catechismo, a scuola, se ne è imparato ben poco.
In effetti, in una scuola ricca di nuovi fermenti. in via di ristrutturazione, e agitata dalle ideologie. anche il catechismo aveva cambiato nome. chiamandosi insegnamento religioso: era il 1974.
2. I vostri figli, oggi
Se a questo punto facciamo un salto di generazione e passiamo ai vostri figli di oggi, allora restiamo quasi straniti.
Vanno a scuola quasi fossero sempre di corsa, incalzati e disorientati dalle materie sempre più numerose, portando sulle spalle zaini sempre più ricolmi di libri e possono anche passare le serate fino a tarda notte, tra uno spot e l’altro, davanti ai trenta canali della TV.
L’agenda del loro tempo libero è un “tutto esaurito”: calcio, disco su ghiaccio. musica, cavallo, balletto, tennis; per quelli più lunghi la pallacanestro: tutti possibilmente lo sci, il mare e vacanze in montagna, nella non infondata speranza di raggiungere traguardi di notorietà e di benessere, aperti dalle nostre e dai nostri campioni del circo bianco.
In questo ambiente, privilegiato rispetto ai quattro quinti di tutta l’umanità è surriscaldato di prospettive di per sé buone e apprezzabili, perché oltre tutto aiutano a salvare un po’ anche dalla droga.
Ecco arrivare nelle vostre case il formulario per l’iscrizione all’insegnamento religioso. Perché arriva e cosa dobbiamo fare?
A dire il vero non è la prima volta che lo ricevete, ma ora che la Convenzione sulla organizzazione dell’insegna – mento religioso, prevista dall’art . 23 della Legge della Scuola, tra il Consiglio di Stato e le Autorità religiose, cattolica e riformata, è stata felicemente conclusa, è giunto il momento di parlarne.
3. Un nuovo regime per l’insegnamento religioso
Ma prima, mi sia permesso di porre in risalto la portata storica dell’art. 23 della Legge della Scuola e della Convenzione applicativa.
Nel travagliato sviluppo dei rapporti tra Stato e Chiesa nel nostro Cantone, esse non hanno precedenti e costituiranno, ne sono certo, un sicuro riferimento in questo settore di interessi così primari per entrambi gli ordini, civile e religioso.
Sento perciò il bisogno di attestare il più vivo apprezzamento per le autorità politiche e in particolare per il Consiglio di Stato, per la determinazione manifestata nella ricerca di una normativa sul problema dell’insegnamento religioso, non solo rispettosa delle attese delle Chiese e più conforme alle esigenze dello sviluppo attuale della vita democratica e del suo pluralismo politico e religioso, ma anche più atta a rendere la nostra scuola efficace strumento di valori civici, morali e spirituali.
Se arriva un formulario di iscrizione, è perché il regime giuridico dell’insegnamento religioso nella scuola è cambiato.
Fino all’entrata in vigore della Legge della Scuola, del I. febbraio 1990, l’insegnamento religioso era previsto per tutti gli allievi, come obbligatorio. In altre parole, lo Stato stabiliva che tutti lo frequentassero, salvo ammettere che i genitori e gli alunni sopra i 16 anni potessero ricorrere alla dispensa, invocando la libertà di coscienza, garantita dall’art. 49 della Costituzione federale.
La nuova Legge della Scuola ha giustamente introdotto un altro regime, che sta a metà strada tra quello precedente della obbligatorietà e quello della facoltatività.
L’insegnamento della religione è materia obbligatoria, perché lo Stato dispone che essa sia necessariamente inserita nel programma scolastico; è facoltativa, perché le famiglie e gli allievi al di sopra dei sedici anni possono sceglierlo o non sceglierlo, servendosi, appunto, dell’apposito formulario che riceverete a casa.
Per capire questo nuovo regime può servire il confronto con le materie solo facoltative. A differenza dell’insegnamento religioso esse possono, ma non devono necessariamente essere inserite nel regolamento degli studi e i corsi hanno luogo, non solo se richiesti dagli allievi, ma anche se gli iscritti sono in numero sufficiente.
Lo statuto dell’insegnamento religioso, fissato dall’art. 23 della Legge della Scuola, non è il risultato di un verdetto salomonico e neppure il frutto spurio di un compro- messo, bensì l’esito di una più adeguata valutazione, sia dei compiti dello Stato, sia della natura della scuola e dell’insegnamento stesso della religione.
In nome di una maggiore neutralità confessionale delle strutture pubbliche, lo Stato non impone più agli allievi la frequenza all’insegnamento della religione come se fosse materia strettamente obbligatoria, ma dichiara necessaria la sua presenza nel programma scolastico, lasciando alle famiglie e agli allievi al di sopra dei sedici anni la libertà di iscriversi o meno.
Ciò significa che lo Stato riconosce l’insegnamento religioso come materia che contribuisce all’educazione ed alla formazione complessiva della persona ed a realizzare, così, le finalità stesse della scuola.
So benissimo che non mancano i malcontenti: chi dice che lo Stato, mantenendo la religione come materia di insegnamento, ha fatto troppe concessioni alle Chiese, dimenticando magari che esse non sono enti privati ma pubblici; chi dice, invece. che la Diocesi è stata acquiescente verso lo Stato laico, sacrificando il principio della obbligatorietà con dispensa e accettando quello della libera iscrizione per tutti.
Certo, nel regine precedente era più comodo, sia per voi genitori che per gli insegnanti di religione. Genitori, preti ed insegnanti laici, grazie alla Legge, si trovavano i figli e gli alunni iscritti alla classe di religione, senza aver fatto nulla. Ma il sistema non funzionava più da un pezzo, perché erano cambiati alcuni presupposti.
Prima di tutto, il fatto che il nuovo art. 1 della Costituzione cantonale aveva già tolto, nel 1975, ogni impronta confessionale attribuita allo Stato dalla Costituzione del 1830; per cui, non era più pensabile che lo Stato continuasse a imporre, come obbligatorio, l’insegnamento religioso.
In secondo luogo. la maturazione dell’idea che le famiglie devono collaborare attivamente alla gestione della scuola, perché di essa sono una componente essenziale: idea accolta e sancita dalla nuova Legge della Scuola.
Da questa collaborazione derivano per voi genitori responsabilità precise, come quella di fare la scelta della frequenza o meno all’ora di religione dei vostri figli.
In terzo luogo, l’evoluzione dell’immagine, che la scuola ha di se stessa. A ben vedere non è lo Stato che ha cambiato la scuola, ma è la scuola che ha cambiato le proprie aspettative nei confronti dello Stato.
4. Famiglia, scuola e Stato
Tale mutamento si è potuto realizzare grazie alla persuasione della necessaria circolarità del processo educativo, al quale sono chiamate le tre istituzioni “tipiche” dello sviluppo dell’uomo: la famiglia, la scuola, lo Stato.
Si tratta di entità che esprimono e soddisfano esigenze primordiali dell’uomo: quella della realizzazione affettiva e spirituale; della crescita intellettuale e dell’inculturazione; dei rapporti interpersonali e dell’ordine sociale.
Questi tre poli, coinvolti nel processo formativo, sono chiamati ad un’opera di necessaria collaborazione per favorire la crescita complessiva della persona. Tale opera esige il rispetto dei reciproci ambiti di competenza ed impone una piena solidarietà di intenti ed iniziative al servizio dell’uomo.
Per questa ragione, il monopolio dello Stato sulla scuola, oltre ad essere un regime paradossalmente illiberale, è ingiusto, perché espropria la famiglia e i gruppi di cui è costituita la società civile di una prerogativa primaria e irrinunciabile: quella di scegliere liberamente – e perciò senza oneri finanziari penalizzanti il modello di scuola che ritiene più utile per sé e più consentaneo.
Su questo problema. noi siamo ancora fortemente imbevuti di una mentalità che risale al secolo scorso. quando anche il nostro Cantone, seguendo altri Stati europei e altri Cantoni svizzeri, ha reso la scuola obbligatoria e gratuita per tutti. Ciò è potuto avvenire perché, per la prima volta nella storia, l’autorità pubblica ha potuto disporre dei mezzi finanziari necessari, grazie alla generalizzazione delle imposte, prelevate sul reddito e la sostanza di tutti, indistintamente.
Prima, non era obbligatoria, ma esisteva comunque anche da noi, tanto è vero che nelle parrocchie, anche più piccole, oltre al parroco, c’era spesso un cappellano con il compito di tenere, appunto, la scuola. Senza contare gli ordini religiosi che fin dal Medio Evo, hanno disseminato il nostro Cantone di Collegi.
L’obbligatorietà ha segnato, senza dubbio, un grande progresso culturale dal quale però è nato l’equivoco secondo cui la scuola appartiene allo Stato.
Che abbia potuto instaurarsi questo monopolio è storicamente comprensibile, ma che continui ad esserlo nel contesto europeo attuale, in cui molti Stati riconoscono ben altre libertà di autogestione alle scuole, lo è di meno. Tutti sanno, ormai, che il vero compito dello Stato è quello di organizzare e sorvegliare, non di occupare la scuola.
Con ciò non voglio dire che lo Stato abbia gestito male la scuola pubblica, che in realtà è una scuola dello Stato, ma solamente che, gestendola ha disatteso il diritto primario delle famiglie e il pluralismo della società, relegando la scuola pubblica non statale in un angolo, senza riconoscerle l’attenzione che merita.
Da noi la scuola non statale, quella pubblica (gestita da enti di diritto pubblico come le Chiese) e quella privata (gestita da enti o persone private), è come una figlia esclusa ingiustamente dall’eredità.
5. Le nuove finalità della scuola
Malgrado questo inevitabile grave appunto alla politica scolastica generale, mi preme, in questo contesto, sottolineare soprattutto che la Legge della Scuola del 1990 ha segnato un grande progresso sia nel definire le finalità della scuola, poiché ha collocato l’educazione e formazione globale della persona dell’allievo al centro della sua missione educativa, sia per il rapporto instaurato con le famiglie.
I primi due articoli della Legge afferivano, infatti, che la scuola pubblica, avvalendosi della collaborazione della famiglia e delle altre istituzioni educative. è al servizio della persona. La sua finalità è, perciò, quella di educare armonicamente la persona alla giustizia e alla libertà, affinché gli allievi, grazie alla trasmissione e alla rielaborazione critica, scientifica e pluralista, della cultura -compresa quella che radicava storicamente l’allievo nel nostro Paese-, possano scegliere in modo consapevole e responsabile il proprio ruolo nella società.
Poiché la Legge mette giustamente l’accento sul compito educativo e formativo della scuola, vale a dire sulla missione di promuovere lo sviluppo integrale della persona, allora è evidente che non avrebbe logicamente potuto escludere dal suo programma l’insegnamento religioso.
6. Dal “catechismo” all’insegnamento religioso
L’attuale insegnamento religioso non deve essere confuso con la catechesi. Questo spiega perché nella Legge non si utilizza il termine “catechesi”, bensì quello di “insegnamento religioso”.
La catechesi tende direttamente all’approfondimento e al radicamento del credente nella fede cristiana. Aiuta i fedeli a cogliere le verità della fede, i suoi contenuti e il rapporto esistente tra i singoli articoli del Credo. In particolare, prepara il fedele, in modo immediato o remoto, all’ascolto della Parola dì Dio e alla celebrazione dei Sacramenti.
La sua funzione ultima è quella di introdurre e accompagnare il cristiano nell’esperienza della vita sociale specifica della Chiesa, che è quella della comunione con gli altri credenti. L’ambito connaturale della catechesi è perciò la comunità cristiana: la Diocesi, la parrocchia, le associazioni, i gruppi e i movimenti ecclesiali.
L’insegnamento religioso nella scuola ha invece un’altra funzione, anche se ha un nesso evidente con la catechesi e non è sempre possibile distinguerlo da essa, soprattutto a livello di scuola elementare e delle prime medie.
7. L’insegnamento religioso interpella la persona a differenti livelli.
Prima di tutto ha il compito di educare gli allievi al senso religioso. Questo avviene proprio nel rispetto del metodo scientifico e delle finalità specifiche della scuola, che, come abbiamo visto – e per usare l’espressione di Papa Giovanni Paolo Il -, ha il compito di dare, attraverso la trasmissione del sapere, «una formazione umana integrale ».
Per raggiungere questo obiettivo, afferma ancora il Papa, essa deve saper proporre agli allievi una compiuta sintesi di nozioni intellettuali e morali, una visione del mondo fondata sulla giustizia e una ipotesi di comprensione del senso della vita.
La scuola non può essere e non è mai neutra, perché non può limitarsi a insegnare i nudi fatti della scienza e della storia, quasi che fatti non portino dentro di sé un significato, atto a interpellare la coscienza e la libertà dell’uomo.
Come scrive il Cardinale Martini, anche chi ritiene che si diano solo i fatti e che la scienza e la cultura siano senza rapporto con la vita e con il destino ultimo dell’uomo, sceglie una concezione della vita che non è più neutra, poiché «prende già una posizione, fa una teoria della realtà, mette in gioco in qualche modo la propria persona».
Perciò, la scuola non può non educare a rispettare le interpretazioni serie e sofferte date dagli uomini ai fatti scientifici, quando cercano di metterli in rapporto con il valore della vita e del destino dell’uomo.
8. Contributo dell’insegnamento religioso alla realizzazione delle finalità della scuola
L’insegnamento religioso, accanto e in dialogo con le altre materie, alle quali non deve adeguarsi, ma da cui deve differenziarsi, svolge un grande servizio alla scuola. Contribuisce, infatti, a realizzarne la finalità: quella di dare una formazione compiuta e globale alla persona, educandola ad ascoltare la coscienza e a fare buon uso della sua libertà.
Da un confronto con la coscienza e la libertà emerge inevitabilmente il problema del senso della vita e quello dei valori universali e fondamentali dell’esistenza.
Il senso religioso sta appunto nella capacità della nostra coscienza di percepire i fini ultimi dell’uomo, dai quali la nostra persona si sente interpellata e invitata a rispondere attraverso la sua libertà.
L’insegnamento della religione, sviluppando negli allievi il senso religioso e innestandosi, attraverso il risveglio della loro coscienza e della loro libertà, nelle finalità stesse della scuola, crea e sviluppa i presupposti per ogni forma di fede nella trascendenza divina e, perciò, anche di quella espressione della fede che è tipica ed esclusiva del cristianesimo.
L’insegnamento della religione, scrive ancora il Cardinale Martini, sollevando in chiave religiosa le questioni decisive sui fini ultimi della vita, aiuta tutta la scuola come tale, di cui è parte, «a porre correttamente il problema» dell’esistenza umana.
Svolge perciò un mandato culturale, come è culturale il compito della scuola.
9. Funzione culturale dell’insegnamento religioso
L’insegnamento religioso svolge un compito culturale anche ad un altro livello: quello di educare a capire ed apprezzare il valore della religione cristiana, nel contesto delle voci di tutte le altre religioni, degli altri sistemi filosofici e delle altre teologie.
Assolvendo questo compito, assume anche un impegno ecumenico, in senso lato e in senso stretto della parola; senza dire che, attraverso l’insegnamento religioso, i vostri figli imparano anche a capire quella tradizione cristiana, in cui sono nati, e che ha segnato in modo indelebile la storia e la cultura europea. quella del nostro Paese e di tutto l’Occidente, ispirandone le espressioni artistiche più alte e anche moltissime forme di organizzazione sociale e politica.
Non possiamo certo pretendere che la nostra scuola porti gli allievi a capire tutte le espressioni dell’arte a livello mondiale: musica, pittura, architettura, eccetera, come, per esempio, quelle dell’Impero Celeste o del Sol Levante. Ma sarebbe grave se. visitando la Cappella Sistina, i vostri figli e i nostri giovani, vedendo Cristo dipinto assieme alle Sibille, rimanessero di stucco, o davanti alla Crocifissione del Luini, in S. Maria degli Angeli a Lugano, provassero solo un’emozione estetica.
Capire i capolavori della cultura occidentale e locale non è, infatti, solo una questione di gusto o di erudizione, ma anche di cultura cristiana.
Tempo fa, qualcuno mi ha detto che, senza l’insegnamento religioso nella scuola, aumenterebbe, anche da noi, l’area di quelle persone “colte-ignoranti”, attrezzatissime in molti campi del sapere, ma atrofizzate mentalmente di fronte alle creazioni più intense e profonde dello spirito umano, che, dall’esperienza cristiana, ha ricavato linguaggi simbolici tra i più ricchi e più esaltanti del mondo.
Il problema, perciò, non è solo quello del compimento spirituale e religioso dei nostri giovani, ma anche quello della loro capacità di vivere la convivenza sociale nella comprensione reciproca.
I commenti diffusi, per esempio, dai mass-media sul nuovo Catechismo della Chiesa cattolica permettono, infatti, di dubitare quasi che una comprensione reciproca tra persone di estrazione culturale, anche da noi diversa, sia ancora possibile.
10. L’insegnamento religioso, necessario per tutti
Tutti hanno bisogno di essere confrontati con i fini ultimi della vita, poiché il senso religioso, cioè l’anelito di scoprire le ragioni profonde della nostra esistenza, è iscritto nella natura razionale dell’uomo.
Ne hanno bisogno i vostri bambini, che dovrebbero risvegliarsi ai palpiti di questa aurora nell’atmosfera della vostra famiglia; ne hanno bisogno i fanciulli, precoci esploratori del mondo esterno e sensibili ai primi sussulti del loro piccolo mondo interiore; ne hanno bisogno gli adolescenti, fragili e contraddittori nella ricerca della propria identità e sicurezza; ne hanno bisogno i giovani, ormai impegnati in una sofferta – oggi disincantata – costruzione di un progetto globale per la loro vita.
Ne abbiamo bisogno noi adulti se vogliamo lasciare un segno indelebile nell’animo dei nostri giovani.
Ne avete bisogno voi genitori, chiamati ad accompagnare i vostri figli nell’itinerario della loro vita, per aiutarli ad aderire ai valori universali e supremi dell’esistenza. sperando in cuor vostro che possano incontrare anche il Dio trascendente e la persona di Cristo. Salvatore e Redentore dell’uomo. Voi che l’avete incontrato lo potete capire. ma perché. chi tra voi non l’ha incontrato, non potrebbe disporsi a farlo assieme a loro? L’insegnamento religioso, commisurato all’età dei vostri figli e alla loro progressiva esigenza di serietà intellettuale, dà un contributo essenziale per aiutare i vostri figli a raggiungere quella maturità umana, culturale e cristiana, che è fonte di coerenza interiore e di realizzazione armonica e integrale della loro persona.
Senza aver percorso queste tappe dell’educazione scolastica al senso religioso, che apre la niente e il cuore dei vostri tigli a un orizzonte culturale più vasto, ponendo in loro le basi di una personalità religiosa radicata in una solida conoscenza del cristianesimo, è ben difficile che la catechesi sacramentale, impartita dalla comunità ecclesiale, possa oggi ancora attecchire veramente.
Rimarrebbe alla superficie della loro coscienza e ai margini della loro vita; non diventerebbe mai, come l’esperienza insegna, fonte di un’esperienza di fede cristiana consapevole e gratificante.
E per questo motivo che, tre anni or sono, raccogliendo un preciso volere del nostro clero e del Consiglio Pastorale Diocesano, ho stabilito, nella Lettera pastorale sulla Cresima che i ragazzi e le ragazze, che disattendono l’insegnamento religioso nella scuola, non possono essere ammessi alla preparazione e alla celebrazione del Sacramento della Confermazione.
Cari genitori, anche voi vi rendete conto che, rispetto al tempo in cui bastava il fascino di un arciprete per mediare l’adesione di un bambino o di un ragazzo alla Chiesa, molte cose sono cambiate.
Sono cambiate anche rispetto alla vostra infanzia e alla vostra adolescenza. Infatti, guardando alla vostra esperienza e a quella dei vostri amici o conoscenti, potete con- statare che il mancato serio confronto con il problema religioso a scuola ha avuto non poche conseguenze.
Non è certo semplice coincidenza se, alla fine di questo nostro secolo, che ha visto dissolversi molte ideologie e illusioni della cultura contemporanea, refrattaria alla trascendenza, e aprirsi un vuoto profondo di valori, la Chiesa cattolica abbia ritenuto urgente diffondere un nuovo Catechismo.
È come un gommone di salvataggio, offerto a tutti, ma forse soprattutto a quella generazione di adulti che, come la vostra, sente la propria fede vacillare.
La vostra fede spesso vacilla, perché, senza una sufficiente conoscenza delle verità cristiane e una partecipazione assidua all’esperienza ecclesiale in una comunità, non in modo astratto, genericamente riferito alla Chiesa universale, ma ben concreto e preciso, come nella vostra comunità parrocchiale, nelle associazioni, nei gruppi e nei movimenti ecclesiali, è ben difficile resistere al fascino della mentalità corrente.
Ancora una volta, essa, come da sempre, ma con la forza persuasiva dei moderni mezzi delle comunicazioni sociali, propone di conciliare il Battesimo e la nostra appartenenza a Cristo con le molteplici mode del mondo e della società contemporanea.
11. Il dovere di iscrivere i figli all’insegnamento religioso
In questo contesto, in cui, secondo il giudizio dei Papi più recenti, urge una nuova evangelizzazione, ecco arrivare nelle vostre case il formulario scolastico per l’iscrizione dei figli all’insegnamento religioso.
Che fare? Iscriverli, non iscriverli? Domandare o non domandare ai vostri figli?
L’atteggiamento meno serio sarebbe quello di affrontare il formulario con mentalità burocratica.
L’atto di iscrivere, o di non iscrivere, i vostri figli è inevitabilmente un atto educativo, lo si voglia o meno.
Il problema non può essere neppure risolto ributtando la palla nel campo dei vostri figli. Potrebbero essere contrari, ma ciò non toglie che voi genitori dovete assumere una posizione personale, perché il problema non è solo quello dei vostri figli e della loro frequenza, ma è un problema eminentemente vostro.
In gioco è il vostro ruolo di primi e insostituibili educatori. Se siete cristiani, avete il dovere di provvedere e di garantire la loro formazione al senso religioso e all’interesse per la fede cristiana.
L’insegnamento religioso nella scuola si propone, sempre più, di essere un’informazione seria, progressiva, scientificamente e storicamente fondata del cristianesimo. E di questo, oltre che della catechesi ecclesiale vera e propria, i vostri figli hanno bisogno, oggi più che mai, poiché proprio nella scuola sono confrontati con mille orientamenti critici, quando non addirittura ostili alla fede in Dio e in Gesù Cristo, per non parlare poi della Chiesa.
Per rispondere a questa esigenza, è chiaro che la Diocesi, anche nel rispetto della recente Convenzione con il Cantone sull’insegnamento religioso nella scuola, intende promuovere, soprattutto attraverso il nuovo Istituto Accademico di Teologia, una formazione degli insegnanti di religione sempre più adeguata.
Anche se non foste più praticanti o non aveste più alcun rapporto con la fede cristiana, il problema non cambia. Nella misura in cui siete aperti alla verità, vi deve sommamente interessare, infatti, che i vostri figli non crescano nella ignoranza religiosa.
Nessun genitore, credente o non credente, può permettersi di privare i propri figli della possibilità di un confronto con i temi fondamentali della vita e con le finalità che la persona umana sente iscritte dentro di sé. L’ignoranza coincide sempre con una forte riduzione della libertà e voi genitori, prendendo decisioni che limitano la libertà, assumete la responsabilità di compromettere nei vostri figli la possibilità di fare, già in età scolastica, ma anche più tardi, scelte debitamente maturate, fossero pure eventualmente contrarie alle vostre attese.
Non è del resto diventato quasi corrente e indice di spirito illuminato, sentir dire, a proposito del Battesimo o dell’educazione religiosa dei figli: «decideranno loro quando saranno grandi»?
Questa apparente libertà concessa ai vostri figli nasconde un disimpegno e una dimissione di fronte alla responsabilità che portate verso di loro.
Come faranno a decidere liberamente se, neppure nel corso del loro curriculum scolastico, hanno avuto l’occasione di riflettere e preparare una decisione grazie anche all’insegnamento religioso?
12. L’iscrizione all’insegnamento religioso, gesto di responsabilità verso la scuola
Cari genitori, prima di decidervi per il si o per il no, permettetemi un’ultima riflessione. Voi portate verso la scuola una precisa responsabilità. Una responsabilità che, oltre tutto, vi è affidata anche dalla Legge della Scuola, del 1990.
Non si onora questa responsabilità solo frequentando le riunioni dei genitori, o iscrivendosi alle relative associazioni.
Se è vero, come abbiamo visto, che l’insegnamento religioso dà un contributo essenziale alla realizzazione delle finalità formative della scuola – portando gli allievi a riflettere sul problema della coscienza e della libertà – allora con l’iscrizione dei vostri figli all’ora di religione compite anche un gesto di chiara collaborazione con la scuola.
Dovete oltre tutto rendervi conto che l’avvenire dell’insegnamento religioso nella scuola, e, per chiara conseguenza, l’avvenire della scuola stessa è in larga misura nelle vostre mani.
L’esito positivo della missione educativa e formativa globale, affidata alla scuola, dalla quale non possiamo pretendere solo garanzie di successo professionale per i nostri giovani, ma verso la quale dobbiamo anche avere reali aspettative per la loro crescita umana, morale e spirituale, dipende in larga misura dalla determinazione con la quale voi genitori assumete, nei suoi confronti, le responsabilità che vi incombono.
Prima di concludere, ma solo per offrirvi un elemento di confronto, mi permetto di ricordarvi che, un tempo, moltissime diocesi in Europa e in America, per sottolineare senza equivoci la responsabilità, prima e irrinunciabile, della famiglia nei confronti dell’educazione religiosa, stabilivano che solo il Vescovo potesse assolvere i genitori dal peccato di non aver mandato ì figli al catechismo della scuola. Oggi, certo, non è più così, ma questa grave responsabilità rimane ed è una delle più importanti della vostra missione dì genitori cristiani.
Nel valutare l’iscrizione dei vostri figli all’insegnamento religioso, voi genitori dovete inoltre tener conto del dovere che avete di dare l’esempio e dì dare una testimonianza, anche in quanto cristiani, di sostegno alla scuola nella sua finalità educativa, incoraggiando così le altre famiglie a iscrivere anch’esse i loro figli.
Ciò vale anche se i vostri figli dovessero già beneficiare dì altre occasioni preziose e apparentemente sufficienti, in famiglia o nell’ambito delle organizzazioni ecclesiali, di istruirsi e formarsi religiosamente.
La prima forma di testimonianza delle nostre convinzioni ed eventualmente della nostra fede viene sempre dalla presenza.
13. La libertà di coscienza
Ne consegue che voi genitori dovete riesaminare la prassi, invalsa troppo facilmente, di sottrarre i vostri figli all’insegnamento religioso, per qualsiasi motivo apprezzabile, sia non iscrivendoli, che togliendoli dopo l’inizio dei corsi.
Il bisogno di riposo tra un’ora e l’altra; il treno che parte; l’insegnante di religione che non incontra; la riluttanza, magari anche comprensibile, dei vostri figli, perché attraversano la crisi; la speranza di tenerveli più facilmente stretti, accondiscendendo ai loro capricci e alle loro voglie, non sono ragioni valide per sgravarvi dalle vostre responsabilità. E una responsabilità che portate, non solo verso i vostri figli, ma prima di tutto di fronte a voi stessi.
Queste scuse non hanno, oltre tutto, nulla a che vedere con l’applicazione della libertà di coscienza, garantita dall’art. 49 della Costituzione Federale.
La libertà di coscienza, garantita dalla Costituzione non svincola dai doveri morali e religiosi, ma protegge solo da eventuali interferenze indebite del potere politico. Non è perciò una cambiale in bianco, come invece troppo spesso si crede, sulla quale uno può iscrivere in suo favore qualsiasi cosa.
Non dovete pretendere che sia la Direzione della scuola a rendervi attenti sul vero significato dell’art. 49 della Costituzione Federale e sulla legittimità della sua applicazione.
La retta valutazione dell’applicabilità del principio della libertà di coscienza, in rapporto alla frequenza dei vostri figli all’insegnamento religioso, dovete farla prima dì tutto voi genitori, davanti, appunto, alla vostra coscienza e, per chi è credente, anche davanti a Dio. E questo vale anche per i vostri figli oltre ì 16 anni.
Poiché il sistema del formulario recapitato a casa garantisce ampiamente la vostra libertà di decisione nei confronti della scuola, I’applicazione del principio della libertà di coscienza entra praticamente in causa solo quando, dopo l’inizio dei corsi. vorreste togliere i vostri figli dall’insegnamento religioso.
Infatti, la Convenzione conclusa tra il Consiglio di Stato e le Autorità religiose, in applicazione dell’ars. 23 della Legge della Scuola, e che entrerà in vigore solo con l’inizio del prossimo anno scolastico, prevede che, dopo l’iscrizione degli alunni all’insegnamento religioso, la frequenza diventa obbligatoria fino alla fine dell’anno, salva la possibilità di far valere l’art. 49 della Costituzione Federale.
14. Il modello della Sacra Famiglia
Poiché tra le novità di quest’anno è arrivato anche il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, desidero ricordarvi quanto esso dice al n. 2223, in merito alla responsabilità dei genitori per l’educazione dei figli.
Ne vale la pena perché. attraverso questo nuovo Catechismo, non vi raggiunge la voce di un solo vescovo, bensì l’insegnamento di tutti i vescovi della terra con il Papa: è la voce della Chiesa universale:
«I genitori sono i primi responsabili dell’educazione dei loro figli. Testimoniano tale responsabilità anzitutto con la c reazione di una famiglia, in cui la tenerezza, il perdono, il rispetto, la fedeltà e il servizio disinteressato rappresentano la norma. Il focolare domestico è un luogo particolarmente adatto per educare alle virtù. Questa educazione richiede che si impari l’abnegazione, un retto modo di giudicare, la padronanza di sé, condizione di ogni vera libertà. I genitori insegneranno ai figli a subordinare «le dimensioni materiali e istintive a quelle interiori e spirituali». I genitori hanno anche la grave responsabilità di dare ai loro figli buoni esempi. Riconoscendo con franchezza davanti ai figli le proprie mancanze, saranno meglio in grado di guidarli e di correggerli: «Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta… Chi corregge il proprio figlio ne trarrà vantaggio» (Sir 30, 1-2). «E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore» (Ef 6, 4).
Cari genitori, non è la frusta, come raccomandata il Vecchio Testamento e come magari si usava ancora all’inizio di questo secolo, ma sono la vostra fermezza e la vostra serietà di intenti che contano.
Ho citato il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica anche per rammentare a tutti i genitori credenti che, da quattro anni, la nostra Diocesi ha introdotto una catechesi per gli adulti: la cosiddetta Scuola della Fede.
II tema proposto quest’anno è quello della Chiesa. Un aiuto per tutti a capire che la Chiesa, contrariamente all’immagine divulgata facilmente dai media, e non solo da essi. non è, prima di tutto. un fatto sociologico o un’istituzione; non è una società esterna alla nostra persona o alla nostra famiglia, alla quale bisogna eventualmente rendere conto.
La Chiesa, nella sua essenza, è un fatto spirituale che, in forza del Battesimo e della fede in Gesù Cristo, avviene nella nostra persona e nella nostra famiglia, così come nelle persone e nelle famiglie degli altri credenti.
Da questa fede comune in Gesù Cristo nasce un rapporto di comunione tra tutti i credenti, che assume forme visibili e istituzionali. Nasce una socialità nuova e diversa da quella semplicemente umana o civile, perc h é ha carattere soprannaturale.
Grazie al sacramento del Matrimonio, la Chiesa trova la sua prima forma di realizzazione nella famiglia. Il Concilio Vaticano Il ha detto che la famiglia è, per cos dire, la “Chiesa domestica”.
In tutto questo si realizza ed esprime il mistero della salvezza in Gesù Cristo, nel quale siamo inseriti attraverso il Battesimo e la nostra fede. Il vostro compito specifico, se siete cristiani, è quello di educare i vostri figli, dopo aver trasmesso loro il dono incommensurabile dell’esistenza, alla fede e alla vita nella Chiesa, già realmente presente nella vostra famiglia. Siete chiamati, perciò, ad accompagnarli, in questo itinerario pedagogico ed educativo, anche fuori dall’ambito familiare, garantendo la loro frequenza, sia alla catechesi parrocchiale o non parrocchiale, sia all’insegnamento religioso scolastico, malgrado abbia, come abbiamo visto, finalità proprie. Per il suo carattere culturale particolare, esso svolge, infatti, una funzione previa e perciò complementare anche alla catechesi.
Il modello che dovete tener presente voi genitori cristiani è quello della Sacra Famiglia di Nazareth; non per quanto la differenzia dalla vostra, ma per quanto è uguale. Giuseppe e Maria hanno saputo educare Gesù, grazie al fatto di aver accettato la missione ricevuta da Dio nella totale disponibilità alla Sua volontà.
Ciò ha permesso a san Luca (2, 52) di annotare nel suo Vangelo che, con Giuseppe e Maria, Gesù cresceva «in età, sapienza e grazia».
Anche voi genitori siete chiamati, in quanto cristiani, a far crescere i vostri figli «in età, sapienza e grazia».
Perciò, ogni strumento di aiuto per realizzare questa missione, che in ciò non è differente da quella di Giuseppe e di Maria, come per esempio, la catechesi parrocchiale e l’insegnamento religioso scolastico, è per voi di importanza capitale. Non solo la catechesi parrocchiale, ma anche l’insegnamento religioso scolastico sono strumenti concreti per realizzare la volontà di Dio in rapporto al vostro dovere di educare i vostri figli al senso religioso e alla fede cristiana.
15. Gli insegnanti di religione e i vostri figli di 16 anni
A questo punto però potreste domandarmi: «Perché allora non scrive anche ai nostri tigli, quelli che hanno compiuto ormai i 16 anni?».
Dovrei piuttosto scrivere agli insegnanti di religione, ai preti e ai laici, che devono gestire il corso forse più difficile di tutto il programma scolastico.
Difficile, perché non sempre hanno il sostegno collegiale degli altri insegnanti; difficile, perché non sempre sentono l’appoggio dei genitori; difficile, perché i ragazzi sono stressati dalle preoccupazioni scolastiche, in un ambiente diseducativamente competitivo; difficile, perché i vostri ragazzi sono distratti da mille prospettive, e, man mano che crescono, sono resi fragili dalla crisi dell’adolescenza; difficile, perché alla religione è riservata un’ora sola; difficile, perché, nel caso di insegnamento a tempo pieno, agli insegnanti di religione nelle scuole medie tocca l’onere didattico di alcune centinaia di allievi; difficile, perché la cultura di massa, dominante, è troppo spesso qualunquista e invita al disimpegno morale.
Se non scrivo agli insegnanti, è perché hanno altre occasioni per riflettere sulla loro missione e sul loro compito ecclesiale e civile nella scuola.
Ma, allora, ai vostri figli, che non vi ascoltano più e credono di affermare la loro personalità staccandosi da voi ed hanno, eventualmente, già fatto la scelta di non iscriversi all’ora di insegnamento religioso?
Certo, potrei scrivere anche a loro, e magari un giorno lo farò, ma sono dispersi e non rappresentano una categoria di persone afferrabile come la vostra.
E poi, penso che, quelli dai 16 anni in su, sono ormai grandi: capacissimi di capire tutto quello che ho scritto a voi, anche perché ormai non pensano più solo ad essere ragazzi, ma guardano già avanti e intuiscono che presto si troveranno anche loro ad essere genitori.
Quello che ho scritto a voi, in fondo, vale anche per loro e allora, come prima cosa, perché non date a loro questa lettera da leggere? Forse potrebbe nascere un dialogo tra di voi e forse capiranno che quanto ho scritto a voi vale anche per loro, sia che guardino il loro presente, sia che guardino il loro futuro.
Non potrebbe essere allora un’occasione d’oro per parlare con loro dell’insegnamento religioso e prendere una decisione comune?
È un invito, che desidero accompagnare con l’affetto di un Vescovo e con la promessa di ricordarvi al Signore, perché vi aiuti ad assumere la vostra responsabilità educativa.
Ma prima di finire, posso proporvi una preghiera per la scuola?