Omelia per la S.Messa del giorno Pasqua 1989
«Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col. 3, 1). Questo ammonimento dell’Apostolo Paolo, fatto nel cuore della gioia pasquale, può essere equivocato da chi volesse ravvisare in esso una conferma del giudizio, che tanta cultura moderna ha espresso ed esprime, in merito al modo dei cristiani di essere presenti nel mondo e nella società.
Secondo questa mentalità efficientista, spesso dominante, il cristiano vivrebbe in modo astratto rispetto alla realtà. In ultima analisi è ritenuto inutile al mondo, perché la sua esistenza è protesa verso l’aldilà. La storia, per il cristiano, non potrebbe essere che un luogo di passaggio, senza impegno reale, poiché afferma di anelare ad una patria trascendente.
Al cristiano, visto che pensa alle cose di lassù, per rendersi davvero utile alla società in cui vive, per lavorare seriamente accanto a tanti altri uomini che lottano e soffrono quotidianamente per alleviare le proprie sofferenze, è richiesto, in nome di una mentalità pragmatista e utilitarista, di mettere tra parentesi la propria fede e la propria speranza nell’aldilà. Gli si vorrebbe imporre, come condizione previa per lavorare alla costruzione del mondo, di rinunciare alla fecondità storica della propria fede e perciò all’identità della propria persona.
Gli esempi sono innumerevoli. Dovrebbe accettare, senza batter ciglio, il controllo artificiale delle nascite come soluzione imprescindibile per alleviare la fame nel mondo, l’aborto per liberare la donna dai vincoli della sessualità, l’eutanasia per sfuggire alla sofferenza. Non è lontano il momento in cui gli si domanderà di rinunciare al carattere festivo della domenica, per ottenere una produzione industriale più efficace.
Il mistero pasquale ci ricorda che le cose non stanno esattamente così. «Pensate alle cose di lassù» non significa «distraetevi dalla terra», non vuol dire «estraniatevi dal dramma della storia». Esattamente il contrario.
In effetti: la storia conosce tre vie fondamentali percorse dall’uomo, nel tentativo di interpretare il significato del mondo e di scoprire la verità di se stesso, del proprio destino umano e della propria storia. L’uomo ha sempre cercato di trovare un orizzonte più vasto, entro il quale dare un significato al suo vivere ed al suo operare. Ha sempre capito di non potere indugiare dentro il proprio piccolo mondo, ripiegato su se stesso, come il serpente che si morde la coda.
La prima via è quella del pensiero delle religioni orientali. Afferma l’assolutezza del divino, accettando l’assoluta relatività delle realtà terrestri e della storia individuale dell’uomo. Suggerisce perciò all’uomo di sottrarsi ai propri limiti, alla propria finitezza e alla contingenza delle cose terrene, abbeverandosi con la contemplazione del divino e dell’assoluto. Questa elevazione, perpendicolare rispetto alla storia, verso la contemplazione filosofica e religiosa della purezza del divino, gli ha fatto accettare, fatalisticamente, le contraddizioni terrene, trascurando per millenni, anche in seno ai popoli di più grande cultura, di sviluppare strutture sociali più vivibili per tutti. Dentro questa concezione pessimistica delle cose terrene, della vita e del dolore, il progresso sociale, infatti, è rimasto minimo.
La seconda via è quella del pensiero occidentale, diventato ateo negli ultimi due secoli. L’uomo è invitato a cercare nella propria storia terrena l’orizzonte esclusivo entro cui operare, identificando Dio con la storia del mondo. Secondo questo pensiero, non esiste altro significato per la vita dell’uomo, se non quello dato dalle prospettive offerte dalla vita terrena.
Questo tentativo occidentale di dare un senso alla vita e al lavoro dell’uomo, le cui radici lontane risalgono al messianismo ebraico, ha trovato in Karl Marx il suo grande profeta: colui che ha proposto l’idea del progresso e del benessere come unico ideale capace di realizzare in terra quel paradiso, in cui l’uomo potesse soddisfare le sue aspirazioni più profonde. Ha dato all’uomo contemporaneo, anche al di fuori del marxismo, l’illusione di poter raggiungere il paradiso dietro l’angolo, in una fuga in avanti, senza sosta e senza esito reale.
L’Incarnazione del Figlio di Dio, in Gesù Cristo, preclude tutte e due queste possibilità di fuga, dal mondo e dalla storia, verso la trascendenza e verso l’avvenire.
Il cristiano sa di non poter consolare nessuno con la sola promessa della contemplazione del divino o con la semplice speranza di un futuro migliore. Il cristiano, coe rente con se stesso, perché crede veramente al Dio diventato uomo, sa, da una parte, che senza l’aiuto di Dio non riuscirà a migliorare in profondità la qualità di vita dell’umanità, e sa, dall’altra, che la salvezza dell’uomo non si esaurisce nel benessere terreno.
La fede nel fatto che Dio stesso è entrato nel tempo e nella storia con l’Incarnazione di Cristo, che nella Sua Risurrezione ha vinto la morte, quale evento privo di ogni esito positivo, ha insegnato al cristiano ad impegnarsi per migliorare il mondo, accogliendo però la Grazia quale forza che supera la sua forza naturale, così come ha costantemente tentato di fare nel corso di due millenni; ma gli dice, inoltre, che deve anche saper «sperare contro ogni speranza » (Rm. 4, 18), in un avvenire definitivo migliore. Questa forza e questa speranza gli sono date dalla sua fede nella risurrezione di Cristo e nella risurrezione dei morti.
Pensare alle cose di lassù non significa perciò guardare ingenuamente verso il cielo, astraendosi dal mondo, ma guardare alle cose più alte, che sono le cose più profonde. «Altus», cioè «alto», significa profondo, allo stesso modo che un mare alto significa la profondità del mare e un alto silenzio significa un silenzio pieno di intensissimo significato.
«Guardate alle cose di lassù» significa per il cristiano guardare alla profondità delle cose. Cercare la verità profonda in esse racchiusa.
L’ammonimento di San Paolo è quello di cercare la verità ultima di noi stessi e della nostra vita. Questa profonda verità di se stesso e della storia il cristiano la trova guardando a Cristo, morto e risorto; a Gesù Cristo «Redentore dell’uomo, centro del cosmo e della storia» come afferma Giovanni Paolo II nella sua enciclica Redemptor hominis.
Cristo, crocifisso e risorto, è la verità di tutte le cose e si pone quale pietra angolare del cosmo intero. San Giovanni, infatti, nel prologo del suo Vangelo, ci rammenta che il Verbo era fin dal principio presso Dio e che il Verbo era Dio e che «tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui non è stato fatto nulla di ciò che è stato fatto » (Gv. 1,1-3).
Guardare a Cristo, riconoscerlo come significato ultimo del mistero del mondo e aderire a Lui nella fede, con la mente e con il nostro cuore, rappresenta l’unica possibilità per essere davvero presenti, in modo utile, nella storia. Solo chi aderisce, esplicitamente o implicitamente, a Cristo, che ha detto di essere «la via, la verità e la vita» (Gv. 14, 6), può lasciare un segno nella vera storia dell’uomo. La storia dell’uomo, infatti, non è la storia di un uomo fattosi da solo e da se stesso, bensì la storia dell’uomo creato dal Padre e redento da Cristo, suo Figlio.
Non occorre, infatti, cercare lontano per vedere le tracce di disumanità, in un mondo manipolato da una cultura assetata solo delle «cose di questa terra». L’uomo e il cristiano che si distraggono da Dio e da Cristo, fatalmente distruggono in se stessi l’umano e il proprio ambiente. Solo coloro che riconoscono Dio come creatore del mondo, o credono anche in Cristo, dal quale sono stati redenti, sono in grado di operare veramente per umanizzare in modo globale il mondo, poiché l’uomo nella sua essenza non è solo una realtà terrena e biologica contingente, ma una realtà in cui è presente l’immagine di Dio, che lo ha creato a sua somiglianza.
Ciò implica il dovere di collaborare fraternamente con tutti gli uomini di buona volontà, poiché la Salvezza è rivolta e promessa a tutti gli uomini che non intendono rifiutarla, qualunque sia il modo di venirne a conoscenza.
Solo chi nutre una speranza che trascende l’uomo e la storia, sa lavorare amando davvero l’uomo e la storia, che portano in se stessi le tracce inequivocabili della loro appartenenza a Dio. La storia dell’umanità è infatti inscindibile dal fatto di aver avuto origine da Dio Creatore e di aver ricevuto la Salvezza da Cristo Redentore, morto e risorto per tutti gli uomini.
La celebrazione di Cristo Risorto, di cui facciamo oggi sacramentalmente la memoria, in quanto uomo risorto, oggi presente in mezzo a noi, ci deve rendere coscienti della novità che ci è accaduta e della responsabilità che le è connessa.
La Pasqua di risurrezione è perciò un invito ad essere più che mai presenti nel mondo, con la nostra vera identità di cristiani credenti.