Omelia per la S.Messa di Pentecoste, 1989
Nel racconto della storia dell’umanità, in ordine alla Salvezza, la Bibbia contrappone due grandi avvenimenti: l’episodio della Torre di Babele (Gen. 11, 1-9) e l’evento della Pentecoste (Atti 2, 1-11).
Agli albori della storia la Bibbia fa emergere il peccato dell’umanità contro il piano creatore di Dio: la pretesa dell’uomo di unificare il mondo costituendo un unico popolo attorno ad un’unica lingua e ad un’unica cultura. Dio sconfessa questo progetto umano perché prescinde da Dio ed è contrario alla Creazione. Nella sua immaginazione, l’autore sacro descrive così l’intervento di Dio sul cantiere degli uomini: «Il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo e disse: “Ecco, essi sono un solo popolo ed hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera ed ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo, dunque, e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro. Il Signore li disperse di là, su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città”».
Il progetto sociale, culturale e politico dell’uomo, emerso con la costruzione della Torre di Babele, di unificare l’umanità imponendo a tutti la stessa cosa e senza tener conto della paternità di Dio su tutti, nega la libertà originale della persona umana di esprimersi secondo un’identità culturale e politica propria. La diversità etnica, linguistica, culturale e sociale di ogni popolo e di ogni Nazione appartengono, infatti, all’ordine originario della creazione di Dio; è inerente al modo con il quale Dio ha predeterminato la storia dell’umanità.
Nello stesso modo in cui l’uomo ha bisogno della famiglia ed ha diritto di costituirla per essere educato a scoprire la sua vera identità umana, l’uomo ha bisogno anche di appartenere ad un popolo e alla Nazione, che costituiscono l’ambito in cui può crescere culturalmente e politicamente, così da esprimere se stesso in modo completo.
Papa Giovanni Paolo II ha affermato a Ginevra, davanti all’UNESCO, che un popolo, costituito in Nazione, è la comunità degli uomini uniti da legami diversi, da una storia comune che supera l’individuo e la famiglia, da una lingua propria e da una cultura particolare, che rappresentano l’orizzonte globale entro cui la persona umana concepisce il proprio destino.
II progetto della Torre di Babele è totalitario e la Bibbia sottolinea che, su questa base, contrariamente a quanto gli uomini hanno creduto e possono sempre ancora credere, non riusciranno mai ad intendersi.
Il secondo avvenimento riferito dalla Bibbia è quello della Pentecoste, che celebriamo oggi con questa solenne liturgia.
La Pentecoste restaura nella storia dell’umanità l’immagine originale secondo cui Dio ha creato il mondo, riaf- fermando il principio che la diversità etnica, linguistica, socio-culturale e politica, appartiene alla struttura dell’esperienza umana. Ribadisce, perciò, il principio della necessità e legittimità del pluralismo culturale e politico.
Tuttavia, il Nuovo Testamento introduce un elemento nuovo nella storia dell’umanità, valido a partire dall’Incarnazione e dalla Redenzione di Cristo.
Gli Atti degli Apostoli (2, 6-11) riferiscono che, mentre gli Apostoli parlavano, ciascuno li sentiva parlare la propria lingua: «Erano stupefatti e, fuori di sé per lo stupore, dicevano:
“Costoro che parlano non sono forse Galilei? E com’è che li sentiamo parlare la nostra lingua nativa? Siamo abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia… dell’Asia… dell’Egitto, della Libia… siamo stranieri di Roma, Ebrei e Arabi e li udiamo annunciare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio”».
L’elemento nuovo, capace di riunificare gli uomini e i popoli non può venire da un tentativo umano autonomo, come avevano fatto i costruttori di Babele, ma solo da un riconoscimento di tutti, nella fede, della persona di Gesù Cristo. Un riconoscimento che può avvenire solo se tutti siamo disposti ad accogliere in noi la Grazia e la presenza dello Spirito Santo. Nessuno, infatti, afferma S. Paolo nella lettera ai Corinzi che abbiamo ascoltato, «può dire Gesù Cristo è il Signore, se non sotto l’azione dello Spirito Santo».
In realtà, continua l’Apostolo delle Genti, «noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito, per formare un solo corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi (ed oggi possiamo aggiungere svizzeri o stranieri, europei o asiatici, anglosassoni o africani), perché tutti siamo stati abbevera- ti ad un solo Spirito» (1 Cor. 12, 3 e 13).
La Pentecoste ha posto nella storia del mondo un fatto ed un principio sociale nuovo. Lo Spirito Santo, che ha reso irreversibile nella coscienza degli Apostoli e dei primi discepoli la fede nella persona di Gesù Cristo, ha dato origine ad una nuova comunità umana: quella che si riconosce nella Chiesa di Cristo.
«Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire – raccontano gli Atti degli Apostoli – si trovavano tutti assieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso un rombo, come un vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro come lingue di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro, ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo».
La Chiesa, cioè tutta la comunità dei cristiani presenti nel mondo, è stata riunita e costituita da Cristo nello Spirito Santo, in quel giorno di Pentecoste di 2000 anni or sono, come modello di un’umanità nuova, perché redenta con il Suo sangue sulla Croce.
La Pentecoste richiama tutti noi e tutti gli uomini al fatto che l’unità degli uomini e del mondo può essere raggiunta solo nel riconoscimento comune di Dio creatore, di cui Gesù Cristo è diventato, nella storia, la manifestazione e la presenza concreta. Lo Spirito Santo è la forza che ci spinge verso l’unità perché, se lo sappiamo ascoltare ed accogliere nella nostra anima, ci mantiene nella fedeltà a Lui; ci mantiene fermi nell’adesione nella fede a «Cristo Redentore dell’Uomo, centro del cosmo e della storia» come afferma Giovanni Paolo II nella sua enciclica programmaticaRedemptor hominis.
Il Concilio Vaticano II afferma che «la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, è in Cristo sacramento, cioè segno visibile, elevato tra le Nazioni quale strumento, non solo dell’intima unione degli uomini con Dio, ma anche dell’unità di tutto il genere umano. La Chiesa è stata costituita con il compito di aiutare tutti gli uomini e tutti i popoli, oggi già più strettamente congiunti di un tempo da vari vincoli sociali, tecnici e culturali, a conseguire la piena unità in Cristo» (LG, I, 1).
Cari sorelle e fratelli nel Signore, celebrare la Pentecoste significa prendere coscienza di questa responsabilità, che tutti assieme portiamo nei confronti della società e del mondo. Siamo in grado di assumere questa responsabilità solo se siamo profondamente convinti del fatto che ciò che può unire veramente gli uomini sta nel riconoscere Dio come origine di tutte le cose; Padre di tutti gli esseri umani e fine ultimo verso cui tutti siamo in cammino. È Padre di tutti noi in Gesù Cristo, Suo Figlio, il quale ha redento tutta l’umanità dal peccato, versando il Suo sangue sulla Croce. È il peccato della nostra indipendenza, della nostra ribellione, ricorrente da sempre nella storia dell’umanità, come ci ricorda l’episodio della Torre di Babele.
Noi cristiani siamo responsabili verso il mondo di dare testimonianza alla verità fondamentale dell’appartenenza a Dio di tutti gli uomini. La nostra missione è quella di aiutare tutte le persone che ci circondano a non perdere o a riscoprire la fede in Dio, con la nostra adesione personale a Cristo Risorto, il quale continua ad essere concretamente presente nel mondo attraverso la Chiesa.
L’unità tra i cristiani è il più grande contributo che noi, seguaci di Gesù Cristo, possiamo dare all’unità tra gli uomini e alla pace nel mondo. L’unità e la pace devono essere fondate sul rispetto dei diritti di ogni persona umana e di ogni Nazione; sul rispetto delle minoranze, che, come ha affermato recentemente papa Giovanni Paolo II, è il banco di prova di ogni politica per garantire, su questa Terra, l’unità e la pace tra gli uomini.
Il messaggio della Pentecoste è semplice: pronunciare tutti assieme ed in modo sempre più aderente alla nostra persona che Gesù Cristo è il Signore. Ciò può avvenire solo se siamo aperti ad accogliere in noi la Grazia dello Spirito Santo, oggi misteriosamente rieffuso sulla Terra attraverso la memoria sacramentale della Pentecoste celebrata in tutto il mondo. Nessuno, infatti, può dire «Gesù è Signore» se non sotto l’influsso dello Spirito Santo.
Questo compito affidato alla Chiesa e reso pubblico dallo Spirito Santo, davanti a tutta l’umanità, il giorno di Pentecoste, interroga noi cristiani sul modo con il quale abbiamo assunto ed assumiamo questa responsabilità davanti alla storia.
La mancanza di unità tra i cristiani è il peccato più grave, del passato e del presente, consumato all’interno della Chiesa, costituita da Cristo nello Spirito Santo, come Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica.
Oggi, allo Spirito Santo dobbiamo chiedere il perdono per non avergli permesso di agire in noi con la pienezza della Sua grazia e dei Suoi doni.
È un perdono di cui abbiamo bisogno, prima di tutto individualmente, poiché tutti siamo divisi nella nostra persona, tra il bene e il male; siamo divisi nelle famiglie, con i nostri genitori e i nostri figli, con nostra moglie e nostro marito, anche quando non fossimo arrivati alla tragedia del divorzio. Ognuno di noi è diviso con i vicini di casa, con i colleghi di lavoro, con gli avversari politici, con i suoi operai e i suoi datori di lavoro; siamo divisi con i compagni di scuola, con gli insegnanti e con gli allievi; siamo divisi con gli stranieri perché stranieri, con i drogati perché drogati, con gli altri perché diversi. Siamo divisi con i nostri fratelli nel sacerdozio, con il Vescovo o con il Papa, con le nostre sorelle di vita consacrata. Tutti pecchiamo contro lo Spirito Santo, che è lo Spirito di amore e di unità.
Ma il perdono dobbiamo chiederlo anche tutti assieme, perché c’è divisione tra le comunità ecclesiali e tra le confessioni cristiane. Questo peccato è pubblico, in faccia al mondo, e più di qualsiasi altro compromette la missione affidata, il giorno di Pentecoste, da Cristo e dallo Spirito Santo a tutta la Chiesa.
È vero che ciò che ci unisce è molto più profondo, malgrado le apparenze, di quanto ci divide; tuttavia, è altrettanto vero che la comunione tra le nostre Chiese e comunità ecclesiali non è piena. Il Signore Gesù Cristo, invece, ci ha chiamati a vivere non un’unità qualsiasi, ma un’unità totale, perché il mondo possa più facilmente credere che il Padre lo ha mandato a salvare l’umanità (Gv. 17, 23).
Domani, a Basilea, si riunisce la prima Assemblea ecumenica europea. È il più grande raduno ecumenico che sia mai stato convocato nella storia. Un avvenimento straordinario, poiché segno inequivocabile che, in seno alla Chiesa, la consapevolezza della responsabilità affidata a tutti noi, al cospetto del mondo, sta emergendo in modo sempre più ineluttabile, fino ad affiorare con chiarezza alla porta della nostra coscienza e del nostro cuore.