Omelia per la notte di Natale 1992
La notte di Natale è sempre stata la notte dello stupore. Oggi magari non è più così, perché crediamo di essere diventati adulti. Ma ricordiamoci di quando eravamo bambini. Il nostro stupore davanti ai doni che Gesù Bambino aveva portato sotto l’albero. Mi ricordo quando mio padre e mia madre mi avevano fatto portare da Gesù bambino un carretto a quattro ruote con il timone, perché ne avevano bisogno loro per il campo. Vivevamo in città, ma nel bel mezzo della seconda guerra mondiale e del “Piano Wahlen”, che invitava ogni famiglia a coltivare un pezzo di terra, magari preso in affitto. Lo stupore mi aveva invaso, davanti a quel carretto, perché Gesù Bambino lo aveva toccato con le sue mani. La gioia e l’esaltazione provate nel corre re in giro, il mattino dopo, trascinandomelo dietro per le strade, perché Gesù Bambino, anche lui l’aveva trascinato, chissà da dove, per portarlo in casa nostra.
Pochi mesi dopo venni a sapere la verità su Gesù Bambino, ma senza nessun dramma interiore. Il carretto a quattro ruote, con timone, l’avevo già dimenticato. Lo usavano i grandi per trasportare il granoturco, i girasoli e le patate. L’idea però di una presenza invisibile di Gesù mi era rimasta. Era rimasta perché è vera, anche se Gesù non porta i balocchi, attraversando, nella notte di Natale, spazi ed itinerari misteriosi.
La pedagogia cristiana ci ha educati in questo modo alla presenza di Gesù Cristo, individuando, nell’animo ingenuo del bambino e nella sua capacità di stupore, il punto più accogliente per deporre nel suo cuore il seme della fede nel mistero di Dio: quello della presenza vera, anche se invisibile, di Cristo risorto nel mondo e nella comunità dei credenti. «Dove due o tre di voi si riuniscono a pregare, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20).
Credere che Cristo è risorto significa credere che Cristo è vivo e che la sua Persona è presente invisibilmente nella nostra vita. Quale differenza corre tra il bambino che tocca i balocchi, perché crede che Gesù Bambino li abbia toccati prima di lui, e l’adulto che crede alla presenza invisibile di Cristo negli itinerari e nel destino della sua vita? «Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 3).
Del resto anche il bambino di gesso esposto sopra i nostri altari, addobbati a festa per il Natale, ha solo carattere simbolico; eppure ci richiama alla presenza vera, anche se invisibile, di Cristo nella nostra vita.
Questa è la verità profonda comune a tutti i segni sacri, di indirizzare il nostro sguardo verso una verità che esiste oltre il velo delle apparenze.
La credenza che Gesù visita tutti i bambini portando un regalo la notte di Natale; la statua di Gesù Bambino esposta in una greppia sopra gli altari; Cristo sulla croce; oppure, l’iconografia del Cristo risorto, di Cristo che percorre la Palestina compiendo miracoli, sono tutti strumenti della pedagogia cristiana per educarci a vivere, avendo la sensazione precisa nella fede che Cristo è vivo ed è presente nella nostra esistenza.
E’ una pedagogia che dobbiamo rispettare poiché coglie nella nostra persona il bisogno primordiale di conoscere Dio e di vivere alla sua presenza e ci introduce nello stesso tempo a credere nella presenza reale di Cristo (con il suo Corpo ed il suo Sangue) nell’Eucaristia, cioè a quella forma di presenza che è la più ardua per la nostra fede, poiché supera ogni possibilità di immaginazione umana.
Quella di Gesù Bambino è perciò una tradizione che dobbiamo conservare o reintrodurre nelle nostre famiglie, se vogliamo che i nostri figli siano preparati a vivere, quando saranno adulti, la presenza di Cristo risorto lungo tutto il cammino del loro destino umano. Senza aver creduto alla venuta di Gesù Bambino è più difficile credere alla presenza sacramentale reale di Cristo, sotto le specie del pane e del vino. Infatti, se non fossimo stati educati allo stupore non saremmo neppure capaci di credere.
Lo stupore umano, di cui i bambini sono capaci in modo eminente, è una delle condizioni della nostra fede.
Tra i pensieri lasciatici da Papa Giovanni Paolo I, uno è particolarmente interessante: “Questa Chiesa (ha detto in una catechesi del mercoledì), che ama definirsi moderna, ha sostituito lo stupore per l’evento di Cristo con delle regole”.
Cari fratelli e sorelle nel Signore, noi che siamo riuniti in questa Cattedrale per celebrare l’evento della nascita di Cristo, ma anche tutti voi che, in questa notte, non vi siete incamminati verso la chiesa, ma siete magari usciti a cena con gli amici; oppure, voi che vi apprestate a recarvi in un night, o voi che trascorrete questa notte con i vostri figli o che magari circolate frettolosi e soli sulle strade, scrutando il buio della notte, oltre i fari della vostra macchina; voi che siete inquieti e pensate nella solitudine ai vostri fastidi; che pensate al vostro coniuge lontano o ai vostri figli che ormai non tornano più a casa; a tutti voi che siete ammalati in un ospedale, ospiti di una casa per anziani; voi che siete prigionieri dietro le sbarre e pensate al vostro avvenire; oppure voi che in questa notte siete ancora svegli perché non è una notte come le altre; voi tutti, noi tutti, cosa abbiamo fatto della nostra fede in Cristo, sbocciata con la nostra fede in Gesù Bambino?
Molti di voi, che avete abbandonato Cristo o che avete preso le distanze dalla Chiesa, l’avete fatto forse perché avete ridotto il cristianesimo ad un insieme di norme morali o di precetti ecclesiastici, rivelatisi, oltre tutto, spesso impossibili da osservare. Altri, che sono rimasti, hanno fatto invece lo sforzo di praticare la morale cattolica, ma senza appagamento, perché avevano una coscienza insidiata dal dubbio su tematiche emergenti: l’indissolubilità del matrimonio, la morale sessuale e sociale, il valore della vita nel suo sorgere e nel suo dissolversi.
Sotto le regole il cristianesimo lo hanno sepolto, sia coloro che in nome della tradizione non riescono ad accettare nessun cambiamento della Chiesa, sia coloro che in nome del progresso e della modernità riducono il problema del rinnovamento della Chiesa a un rifacimento di strutture, senza confrontarsi con l’imperativo del rinnovamento della Chiesa attraverso la conversione del cuore.
“Uno sguardo retrospettivo dei trent’anni trascorsi dal Concilio Vaticano II rivela tutta la fragilità dell’identità e della coscienza cristiana di chi ha fatto del proprio schieramento a destra o a sinistra, tra i conservatori o i progressisti, il punto cruciale della propria appartenenza alla Chiesa. In effetti in tutti e due i casi sono state prese come punto di riferimento la norma, la regola o l’istituzione con l’identico intento di conservarle o di abbatterle.
Questo modo di vivere la fede cristiana e la nostra appartenenza alla Chiesa è dettato dalla mentalità comune. Nel mondo, l’uomo è preoccupato prima di tutto del funzionamento delle strutture, della efficacia delle istituzioni, delle prospettive economiche, ma chi si appassiona per i valori, per la cultura, per i problemi di significato inerente alla convivenza civile? La recente votazione sullo “Spazio economico europeo” ha ampiamente messo a nudo il fatto che le preoccupazioni fondamentali e le spinte più reali presenti nella nostra società sono state utilizzate, per il sì o per il no, con criteri più funzionali che ideali. Questa stessa mentalità la viviamo in forza di una traslazione anche nella Chiesa.
La vera mondanizzazione della fede non proviene dalla secolarizzazione del mondo, vale a dire dal fatto di accettare che la società sia retta dal principio della neutralità religiosa, bensì dal fatto che noi cristiani ci lasciamo determinare, nella nostra posizione interiore, dalle regole del mondo, all’interno stesso della Chiesa.
A colloquio con il grande scrittore francese Jean Guitton, Papa Paolo VI ha descritto questa situazione, quando ha confessato al suo interlocutore che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico… ma esso, anche se diventasse il più forte, non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa.
La prima e più incisiva forma di pensiero non cattolico, dalla quale noi fedeli ci lasciamo determinare in modo ricorrente, è quella di vivere il cattolicesimo come se si trattasse di una religione qualunque: una delle tante religioni escogitate dall’uomo per adorare Dio e garantire una vita morale, sia nel settore privato che sociale della convivenza tra gli uomini. Il cristianesimo non è solo una religione, fosse pure la più sublime che l’uomo sia mai riuscito a formulare; non è solo una religione perché alla sua origine non sta l’uomo, ma Dio. E’ Dio che ha rivelato all’uomo la modalità del rapporto che deve esistere tra lui e la divinità. Non è l’uomo, ma è Dio che ha preso l’iniziativa tra Lui e noi. E questo Dio si è rivelato attraverso Gesù Cristo.
La novità assoluta del cristianesimo rispetto ad ogni altra religione umana sta nella presenza della persona del Figlio, attraverso il quale il Padre si è manifestato a noi uomini. Da questa novità noi siamo attratti perché sentiamo che il Figlio di Dio è una persona, che non possiamo solo conoscere, ma che richiede di essere amata.
Nella notte di Natale noi celebriamo la nascita del Figlio di Dio, la nascita di Dio stesso che si è proposto alla storia, venendo alla luce di questo mondo come un bambino. Puer natus est nobis! ci fa esclamare la liturgia: “Un bambino è nato per noi!” Di fronte a questo bambino, che racchiude in sé un mistero sconfinato, al quale possiamo aderire solo credendo, di fronte a questo bambino che è Dio, un solo sentimento è possibile, il sentimento dello stupore.
Cari fratelli e sorelle nel Signore, dobbiamo essere ancora capaci di stupore se vogliamo che la nostra esperienza di fede vada al di là della religione e se non vogliamo correre il rischio di sostituire lo stupore, per l’evento di Cristo, con delle regole da osservare.
Infatti, lo stupore non nasce da un impulso del sentimento o da una sensazione estetica. Esso anzi, presuppone un giudizio della nostra intelligenza di fronte alla straordinarietà di un fatto. Questo è il nostro stupore davanti alla incarnazione del Figlio di Dio, che si è fatto uomo nel seno di Maria di Nazareth e si è degnato di abitare tra noi.
Lo stupore ci invade e coinvolge quando la nostra intelligenza intuisce, nella fede, la grandezza e l’importanza per la storia dell’uomo e per il destino della nostra persona del mistero del Natale. Senza questo stupore, che nasce dalla coscienza di essere coinvolti nel mistero della salvezza, non è possibile amare né la persona di Cristo, né la comunità dei suoi fedeli che è la Chiesa. Il dramma del mondo e dell’uomo moderno è nella sua incapacità di stupirsi di fronte al mistero di Cristo e quindi di accettarlo al di sopra di ogni altro valore.