Omelia nella notte di Natale alla Radio della Svizzera Italiana, 1991
Fratelli e sorelle carissimi e voi tutti in ascolto attraverso i microfoni della RSI, in questa Santa Notte di un Natale denso di rivolgimenti epocali, la Chiesa e tutti noi ci interroghiamo su come annunciare ancora Cristo alla nostra società contemporanea così afflitta da mali spirituali e materiali.
Nel momento in cui l’espressione più avanzata e scientifica della modernità, quella del comunismo, ha subito nei paesi dell’Est europeo la sconfitta politica più rovinosa che una ideologia abbia mai conosciuto nella storia, quale deve essere il messaggio dei cristiani all’Europa?
La caduta dei regimi totalitari all’Est pone oggi la Chiesa faccia a faccia con l’altra espressione della modernità, apparentemente più moderata: quella della cultura occidentale capitalista.
Una cultura e un sistema politico, che non potendo più legittimarsi come baluardo insostituibile contro l’espansione del materialismo dialettico, hanno perso parte del loro prestigio.
La sfida culturale per i cristiani è, di conseguenza, diventata improvvisamente più stringente e precisa.
In una società capitalista e pluralista come la nostra, che, a differenza di quella costruita all’Est dal materialismo dialettico, non nega necessariamente e sempre l’idea di Dio, ma la riduce spesso a opinione, tanto più tollerabile quanto più rimane circoscritta alla sfera individuale del cittadino, noi cristiani siamo ancora legittimati a predicare agli uomini l’unicità della salvezza in Cristo?
Il problema fondamentale, cui è confrontata la Chiesa contemporanea e con essa tutti noi cristiani, chierici e laici, non è infatti primariamente quello di rendere plausibile al mondo, in cui siamo immersi, la morale cristiana, ma quello di possedere ancora la forza culturale e il coraggio di annunciare agli uomini del nostro tempo l’unicità della salvezza di Cristo.
Avanza, infatti, a grandi passi, nella cultura occidentale, in stretto contatto ormai con le grandi religioni orientali, la persuasione che l’incarnazione del “logos” in Gesù Cristo non è unica, bensì una delle tante manifestazioni del “logos” stesso.
Tutte le grandi religioni, infatti, rivendicano di essere, anch’esse, fondate su una rivelazione, contenuta nei rispettivi libri sacri.
Il Gesù storico della Palestina può ancora avere la pretesa assoluta di essere l’unico figlio di Dio, e perciò l’unico Salvatore per tutti gli uomini?
Rimane ancora vera l’affermazione di San Paolo, nella lettera a Tito letta in questa liturgia, che in Gesù Cristo «è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini». (2,11).
La risposta a questo interrogativo è centrale, sia per il compito che ci incombe di evangelizzare nuovamente la nostra cultura europea, sia per annunciare Cristo alle culture extraoccidentali, affacciatesi ormai sulla scena del mondo contemporaneo.
La cultura moderna, sostanzialmente europea, è nata dall’affermazione che la ragione umana è l’unica fonte conoscitiva per poter comprendere la realtà, il significato della vita umana e della storia.
Tuttavia la scoperta recente e sempre più palese dei limiti teoretici, sociali e politici, inerenti alla cultura moderna, e della sua incapacità radicale a risolvere, sia in Oriente che in Occidente, il problema della convivenza pacifica degli uomini, ha dato ormai avvio alla fine dell’epoca moderna, facendo entrare l’Occidente nella fase della postmodernità.
La cultura dominante ha però avallato tra i cristiani la convinzione diffusa che, anche per la Chiesa cattolica, sia iniziata la fase della post-cristianità. Una postcristianità che nasce, non tanto dalla constatazione dei limiti storici della cristianità, bensì dall’accettazione, da parte del cristianesimo, di essere considerato, dalla cultura contemporanea, solo come una delle tante forme di religiosità umana.
Per l’uomo post-moderno, il cristianesimo e, in modo esponenziale, la cattolicità dovrebbero accettare di collaborare con tutte le altre religioni e denominazione cristiane e con tutte le forze spirituali del mondo, per realizzare alcuni valori comuni, come la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato, rinunciando però ad una visione propria sul significato della storia.
Se così fosse, la giustizia umana, presupposto della pace, e la salvaguardia dell’ambiente, diventerebbero, non solo il punto di riferimento di ogni prassi ecumenica tra i cristiani, ma anche il valore esclusivo per la convivenza tra gli uomini, di fronte al quale anche la fede nella trascendenza di Dio e nella divinità di Cristo dovrebbe inchinarsi.
Se dovessimo accettare che la Chiesa non ha il suo fondamento, nell’unicità dell’incarnazione del “logos”, Figlio di Dio, la conseguenza sarebbe di dover sostituire l’annuncio di Cristo al mondo con il dialogo, inteso come semplice scambiò di convinzioni soggettive e opinabili. All’interno stesso della Chiesa la conseguenza sarebbe che ogni fedele è autorizzato, a livello della fede e della morale, a prendere o lasciare ciò che più gli conviene.
Prenderebbe ulteriore consistenza il fenomeno, in atto anche fra noi fedeli praticanti, del cattolicesimo “à la carte”. Un Cristo e un cattolicesimo a misura dei nostri gusti e delle nostre esigenze individuali.
Di fronte a questa situazione, anche altri testi teologici del Nuovo Testamento, scritti dall’Apostolo delle Genti e da San Giovanni, rivestono un’importanza fondamentale. In effetti, sia San Paolo che San Giovanni, hanno dovuto confrontarsi con una cultura, quella greco-romana, sostanzialmente sincretista, analoga a quella dei nostri tempi, caratterizzata da un profondo relativismo culturale e religioso.
Per intaccare alla radice questa cultura pagana, essi sono perciò risaliti all’origine stessa del rapporto di Dio con l’uomo, rivelandoci che la chiamata rivolta da Dio all’uomo è previa alla creazione stessa del mondo. San Paolo ha posto il “logos”, Figlio di Dio, nel cuore stesso dell’atto creativo del Padre.
Egli, il Padre, scrive nella lettera agli Efesini (1, 4), “ci elesse in Gesù Cristo prima” (e non dopo come siamo inclini a pensare comunemente) “della creazione del mondo stesso”.
Ciò significa che la paternità di Dio nei confronti della nostra persona è più antica della creazione del mondo; precede l’esistenza stessa della materia originale da cui, per successive evoluzioni, si è formata la realtà incommensurabile del cosmo. L’uomo trascende perciò l’universo creato.
Il nostro rapporto di figliolanza, di fronte a Dio, anticipa il rapporto di dipendenza stabilitosi tra la realtà creata e il Padre, nel momento stesso della creazione del mondo, rivelatoci dal libro della Genesi.
Il secondo elemento di questa rivelazione apostolica sull’origine del mondo e dell’uomo è quello della funzione mediatrice svolta dal “logos” nella creazione. Il Verbo, che era in principio presso Dio ed era Dio, è l’immagine attraverso la quale ogni creatura è stata creata. “Tutto fu fatto per mezzo di lui e senza di lui non fu fatto assolutamente nulla di ciò che è stato fatto”, scrive San Giovanni nel prologo del suo vangelo (1, 1-3).
Nella lettera ai Colossesi, San Paolo prosegue affermando che il “Figlio è l’immagine del Dio vivente, primogenito di tutta la creazione, poiché in lui sono stati creati tutti gli esseri nei cieli e sulla terra, visibili e invisibili. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” per cui tutti gli esseri trovano la loro consistenza intrinseca in lui (1, 15-17).
Se l’uomo è stato creato dal Padre attraverso il Verbo, immagine perfetta del Padre, che, per analogia, ha esercitato la stessa funzione dell’immagine intellettiva nei confronti della nostra conoscenza umana, ciò significa che non è esatto dire che Gesù Cristo si è incarnato assumendo un modello di natura umana preesistente. San Paolo e San Giovanni affermano, infatti, che l’uomo stesso è stato creato secondo il modello dell’umanità, che Cristo avrebbe assunto nel tempo e nella storia.
Tocchiamo, fedeli cristiani, i vertici della contemplazione del mistero di Dio creatore e della conoscenza che l’uomo può avere di se stesso e della propria origine.
E’ l’uomo ad essere fatto a immagine di Cristo, primogenito di tutta la creazione, e non il Cristo ad immagine dell’uomo.
Cari fratelli e sorelle nel Signore, Gesù Cristo Signore, Verbo di Dio e immagine perfetta del Padre, ha plasmato l’origine stessa della nostra persona.
Il libro della Genesi, infatti, ci rivela che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Ciò significa che la salvezza dell’uomo e la nostra salvezza personale possono avvenire solo attraverso la persona stessa di Cristo.
Se Cristo è stato il modello unico, attraverso il quale il Padre ci ha creati, la nostra salvezza non può avvenire se non attraverso la restaurazione in noi di questa immagine, grazie alla redenzione operata da Cristo stesso sulla croce.
L’unicità della salvezza in Cristo rimane perciò l’elemento imprescindibile e centrale della nostra fede. Non possiamo eliderla dalla nostra coscienza, senza degradare la rivelazione cristiana a religione naturale umana: fosse pure il prodotto della migliore e più nobile razionalità umana; di una ragione, però, incapace, per definizione, di penetrare nel tempio sacro del mistero della paternità di Dio verso l’uomo e verso le nostre singole persone.
Se dovessimo rinunciare, pur nel totale rispetto di tutte le altre proposte religiose, ad annunciare questa verità centrale della nostra fede al mondo, noi cristiani, non solo capitoleremmo di fronte alla cultura dell’epoca postmoderna, ma non avremmo più nulla di proprio da annunciare all’Europa per la sua nuova evangelizzazione.
L’essenza del cristianesimo, infatti, affermava Romano Guardini, non sta nella più alta nobiltà della sua dottrina morale, personale e sociale, bensì nella persona di Cristo.
Il “logos”, cioè la parola, ossia il Verbo del Padre, si è fatto carne, diventando presente in mezzo a noi.
Cari fedeli, in questa notte di Natale celebriamo il mistero dell’Incarnazione del Figlio unigenito del Padre.
Questa notte e questa celebrazione sono vere per noi cristiani, solo se sappiamo fare un atto di fede in Gesù Cristo, affermando nel nostro cuore e con la nostra bocca di credere che il Bambino venuto alla luce nella grotta di Betlemme, che ha sorriso a Maria e Giuseppe come sorride a noi in questo momento, è il nostro unico Salvatore. Questa notte è vera solo se sappiamo credere che in Lui “è apparsa la Grazia, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” e solo se in questo momento sappiamo affidare a Lui, unico Signore e Redentore la nostra persona.